«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Costituzione italiana, Stato e chiesa il 23 marzo 2020

di Francesca Tonnarelli

Diritto tributario e diritto finanziario: tra dignità sociale e trascendente

Il presente intervento, estratto dalla tesi in giurisprudenza dell’autrice, mette a tema una comparazione fra la modalità di reperimento delle risorse da parte dell’ordinamento repubblicano e quello canonico, con una indagine in particolare sulla natura del tributo.

Il tributo trae le sue origini etimologiche dal verbo latino tribuere (4), ovvero distribuire, impiegare, dividere; ed è oggetto proprio di tale prestazione la distribuzione della ricchezza all’interno della cosa pubblica secondo criteri di proporzionalità e giustizia (5), che scaturiscono dai principi fondamentali della carta costituzionale; dunque è errata –etimologicamente e giuridicamente– l’idea per cui il tributo sia distruzione di ciò che è stato prodotto dai privati, ovvero ricchezza finalizzata al consumo auto-riferito, per cui lo Stato sarebbe la “mano” che prende per poi non ridare; piuttosto esso, attraverso le imposte –termine che è stato reso grave e quasi intriso di ingiusta coazione dagli economisti nei secoli scorsi– distribuisce, impiega, divide ciò che preleva dai privati, al fine di creare le condizioni giuridiche, politiche ed economiche perché gli uomini prendano parte, materialmente e spiritualmente (6), ad una società organizzata in modo efficiente (7).
La distribuzione di cui trattasi, attivata tramite la formulazione di prestazioni patrimoniali imposte (8), è volta sia a rendere lo Stato strumento efficiente per l’applicazione delle garanzie costituzionali, sia a dare effettività al principio per cui suum cuique tribuere (9), ovvero a ciascuno va dato quanto gli spetta secondo la giusta distribuzione, dunque secondo giustizia (10). In virtù della giustizia è necessario che i tributi, quali specie del più ampio genere delle prestazioni patrimoniali imposte, siano concepiti dal legislatore in modo da considerare non solo quanto è dovuto, ma anche quanto non è dovuto e in quali casi, o addirittura quanto deve essere restituito, delineando in tal modo non solo i giusti prelievi sulla ricchezza, nelle varie accezioni economicamente intese (11), ma anche la posizione giuridica favorevole o sfavorevole del soggetto obbligato (12).

La Costituzione, quale fonte primaria di giustizia, eminentemente afferma il principio di uguaglianza all’art.3, primo comma, per cui: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Il tributo, oltre ad essere prestazione patrimoniale imposta (13), è però anche prestazione solidale (14) in virtù dell’art. 2 Cost., in quanto viene richiesto dalla Repubblica a ciascun individuo “[…] l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.  Il riferimento alla solidarietà della funzione del prelievo del tributo è presente fin dall’antichità romana: “ […] si Iustitia est aequitas ius uni cuique rei tribuens pro dignitate cuiusque […]” (Cic. rhet. ad Her. 3.2.3). Sulla base del tribuere pro dignitate, anche l’adempimento degli obblighi di contribuzione imposti dalla legge deve essere inquadrato nel principio di uguaglianza, perché nella distribuzione della ricchezza, e dunque nelle varie forme impositive, l’individuo non sia privato di quella dignità sociale (15) riconosciuta dalla Carta costituzionale stessa. Sebbene tale criterio di giustizia sia volto a garantire pari opportunità tra i soggetti, a prescindere dalle condizioni personali di partenza, la dignità sociale garantita dalla Costituzione è manchevole di ciò che recentemente la Chiesa ha invece espresso e ravvisato come necessario nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes (16), ovvero la dignità trascendente (17); tale concetto riconosce all’uomo in sé e per sé una dignità che va oltre il suo riconoscimento sociale e che dalla società non solo prescinde, ma dalla quale è sublimata, ovvero una dignità il cui fondamento è divino. Il liberismo (18) che emerge dai principi fondamentali della Carta costituzionale, riflesso della Rivoluzione francese (19), porta alla limitazione della dignità effettiva dell’uomo, che in questi risiede a prescindere dalla sua accettazione sociale e spirituale; limitazione i cui effetti emergono, anche e soprattutto, dalle distorsioni economiche provocate dalla veicolazione errata del mercato e delle finanze, in cui il danaro da mezzo diviene fine (20), in cui l’uomo da cardine verso cui orientare il bene sociale (21) diviene strumento per massimizzare il profitto (22) dei più scaltri (23).

In ambito finanziario non sarà paradossale, in vero, dimostrare che una banca, proprio in virtù della massimizzazione del profitto (24), non sia interessata a prestare danaro a soggetti piccoli e medi, in quanto i costi dei prestiti sarebbero molto più elevati rispetto ai guadagni attesi dagli interessi (25); oppure riscontrare l’assenza di una democrazia societaria (26) nei meccanismi interni di una società per azioni secondo le vigenti normative (27).
La ripartizione della ricchezza, quindi, deve rispondere a criteri di equità e giustizia; e tale distribuzione, si è detto, avviene attraverso quello strumento volto a reperire risorse, che volgarmente è definito “tassa”, ma che di per sé non è sufficiente per un corretto intendimento delle modalità con cui vengono ottenuti i fondi per la spesa pubblica.
È necessario, allora, inquadrare il tributo come specie del più ampio insieme del diritto finanziario, che disciplina i meccanismi volti al reperimento dei fondi per la spesa pubblica (28), ovvero i costi che i soggetti pubblici sostengono per lo svolgimento delle loro funzioni; più in generale il sistema fiscale di finanziamento delle spese pubbliche, gli istituti giuridici essenziali che caratterizzano il sistema di contabilità di Stato e di finanza pubblica. Tra tali meccanismi finanziari il tributo è oggetto di studi specialistici (29), ciononostante orientati ad esperienze interpretative dal carattere interdisciplinare (30); sarebbe errato, in vero, isolare le problematiche di settore dalle altre materie giuridiche, quali il diritto privato o quello pubblico. Si pensi, ad esempio, ad alcune modalità con cui possono essere acquisite risorse rispetto ad un bene immobile; esso, infatti, potrà essere oggetto di una concessione per cui il soggetto richiedente dovrà corrispondere una tassa di concessione governativa (31) –come vale per i beni demaniali– ed ecco implicato, dunque, il diritto pubblico; oppure trasferito da un soggetto ad un altro attraverso un atto di compravendita, che implica notoriamente un rapporto privatistico, per cui dovranno essere pagate le relative imposte di registro. Ancora, non si potrebbero pensare i tributi e i meccanismi finanziari di cui essi sono oggetto senza considerare il diritto processuale, quale garanzia per la corretta applicazione della disciplina (32). L’interconnessione tra diritto tributario e finanziario è, dunque, evidente e chiaro è il fine a cui tali materie tendono: assicurare scambio equo tra i servizi e i relativi prezzi; permettere a ciascun individuo di godere della cosa pubblica nella solidarietà di una contribuzione secondo giustizia. Ebbene, se nell’ordinamento della Repubblica italiana, secondo quel relativismo post rivoluzionario che le è proprio (33), il fine di una corretta amministrazione della giustizia tributaria e finanziaria è il godimento dei pubblici servizi, perché sia data a ciascun individuo pari dignità sociale e pari possibilità di sviluppare il proprio spirito, la Chiesa pone come fine ultimo del tributo qualcosa di ben lontano dalla morale relativista: il sostentamento delle sue istituzioni (34), affinché essa possa perseguire la salvezza delle anime (35), che trascende l’uomo e la società.

 

Note

4

Castiglioni L., Mariotti S., v. tribuo, is, tribui, tributum, ere, in Vocabolario della lingua latina, IV edizione a cura di Piergiorgio Parroni.

5

Cfr. G.Marongiu, A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2013, pp14-
19; M. Basilavecchia, Corso di diritto tributario, Torino, 2017, pp. 10-20; il principio
costituzionale a cui si fa riferimento deriva dall’articolo 53, per cui il sistema
tributario è formato a criteri di progressività. Ciò significa che il tributo è ispirato
dall’uguaglianza del sacrificio, inteso che tale prestazione diventa progressiva
quando cresce più che proporzionalmente al crescere della ricchezza colpita; dunque
i contribuenti dovrebbero essere chiamati a sacrificarsi nella stessa misura.

6

Si fa riferimento a quanto si evince dai principi fondamentali della Costituzione, in particolare dagli articoli 2,3 comma 2, 4 comma 2.

7

Cfr. L. Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, 1938, pp.279-284.

8

Cfr. G.Marongiu, A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2013, pp.6-7,
19-20; M. Basilavecchia, Corso di diritto tributario, Torino, 2017, pp.20-25; la
prestazione patrimoniale imposta, ex art. 23 Cost., consiste in un dare, un fare o un
permettere -dunque una obbligazione- valutabile economicamente ed imposta per
legge, per cui il soggetto implicato viene a subirla senza potervisi sottrarre; l’art. 23
Cost., trattandosi di riserva di legge, esprime il principio per cui solo nella legge si
rinvengono gli elementi essenziali dei tributi, ovvero il soggetto passivo, il
presupposto, la base imponibile e le aliquote (per queste ultime non è necessario che
la legge indichi una determinazione definitiva, ma è sufficiente un minimo e un
massimo in cui esse siano comprese). Nell’insieme delle prestazioni patrimoniali
imposte, i tributi costituiscono un sottoinsieme correlato a queste teleologicamente
in quanto rivolto al finanziamento della spesa pubblica attraverso il criterio della
capacità contributiva ex art. 53 Cost.

9

Cfr. Cicero, De Officiis, 1, 15; Dig.1.1.10pr., Ulpianus, libri regularum.

10

Ibidem, Dig.1.1.10pr.; nel passo di Ulpiano,la cui attribuzione è ritenuta spuria da
parte degli studi in materia (cfr. T.Honoré, Ulpian. Pioneer of Human Rights, 2002,
pag. 215 e ss.), si legge : “iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique
tribuendi”.

11

Cfr. P. Bosi, M. Cecilia Guerra, I tributi nell’economia italiana, Bologna, 2018, pp.
37-42; G. Marongiu, A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Tornino, 2013, pp.
15-18; la ricchezza è espressione della capacità contributiva (art. 53, Cost.), che
viene colpita dalle imposte dirette, ovvero da quei tributi che colpiscono una
manifestazione immediata della ricchezza, -quale la percezione di un reddito o il
possesso di un patrimonio- e dalle imposte indirette, che colpiscono un diverso
momento di espressione della capacità contributiva, come il consumo, lo scambio di
un bene, il trasferimento di una attività finanziaria, ovvero una manifestazione
mediata della ricchezza.

12

Idibem, Dig.1.1.10pr.; alcuni studiosi ritengono che tale principio non esprima
semplicemente l’attribuzione di un vantaggio ad un dato soggetto, bensì alluda
all’applicazione di una giustizia “a tutto tondo”, ovvero a dare a ciascuno la
posizione giuridica che gli spetta, quindi anche in termini sfavorevoli (ad esempio
attraverso il riconoscimento di una sanzione in seguito ad un fatto illecito); su questo punto si veda M.Valley, Suum jus cuique tribuens, in St. De Francisci, I, 1954, 364 e
segg. e l’intervento di Giuseppe Falcone in occasione del Seminario Romanistico
Internazionale “L’illecito e le sue sanzioni”, 2017, organizzato dal “Centro
Romanistico Internazionale Copanello”, rif. www.unipa.it.

13

Art. 23, Cost.

14

Cfr. G.Marongiu, A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2013, pag.11.

15

Art. 3, Cost.

16

Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et Spes, 21: Acta Apostoliacae Sedis
(d’ora in poi AAS) 58 (1966)1070-1071

17

Paolo VI, Populorum Progressio, 14: AAS 59 (1967) 268; Benedetto XVI, Caritas
in veritate, 11: AAS 101 (2009) 641; Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 47:
AAS 80 (1988); Catechismo della Chiesa Cattolica, parte III, sez. I, art. 3; C.I.C.,
Can. 208: “Fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una
vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano
all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di
ciascuno”. La giustizia sociale articolata nel Catechismo della Chiesa Cattolica
afferma che a ciascuno va dato quanto di cui è titolare in ossequio di quella dignità
che trascende l’essere umano stesso, dacché scaturisce dalla fonte giuridica -ius,
logos (Gv 1, 1-5)- suprema, ovvero il Creatore di cui tutti sono debitori (Giovanni
Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 47; A.A.S. 80 [1988], 581); infatti così come le
regole di una certa arte sono inscritte nelle opere dal proprio artista -in quanto la
natura corrisponde alla ragione (Aristotele, Fisica, Libro II)-, altrettanto il Logos -giurista per eccellenza-, ha dato ordine all’Universo secondo la propria Legge.

18

Si fa riferimento all’ideologia di tardo Ottocento tipica della borghesia liberale
d’Occidente, le cui radici risiedono nel Positivismo; pensiero, dunque, che si
contrappone a ciò che è astratto, chimerico, metafisico, e che predilige, piuttosto, il
reale, l’effettivo, lo sperimentale, l’utile. Il liberismo viene aspramente criticato dalla
Chiesa Cattolica (cfr. Papa Pio IX, Quanta Cura [1864], in Sillabo), che condanna
l’indifferentismo nei confronti dell’Assoluto -apice della critica positivista- da
cui: “scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba
ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui
apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre
aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con
impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla
Religione”(Gregorio XVI, Mirari Vos, [1832]).

19

Cfr. G. Rolla, La tutela costituzionale dei diritti, Milano, 2014, pag. 39 e ss.;
AA.VV., I tempi del diritto, Torino, 2016, pp. 220-232; la dignità umana viene
riconosciuta e acquisita dalle costituzioni che si ispirano ai principi dello Stato
sociale e democratico di diritto, in cui l’uomo non è più inteso in una visione
atomistica, bensì sociale; e tale dignità diventa anche bene spirituale, per cui essa
non può essere annullata dal giudizio sociale delle altre persone o dalle scelte dei
pubblici poteri, in quanto risiede nell’uomo stesso. Ma tale affermazione, ovvero il
riconoscimento di una dignità spirituale dell’uomo, è diversa dal definirne il carattere
trascendente, quindi una dignità che guarda ad un termine assoluto, ovvero Dio; in
vero tale principio, premessa antropologica dello Stato democratico, trae le sue
origini dalla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) che,
pur appellandosi alla libertà e all’uguaglianza dell’uomo, è eminentemente calata nel
relativismo giuridico proprio dell’Illuminismo giuridico (cfr. Montesquieu, De
l’esprit des loix, 1749).

20

Congregazione per la Dottrina della Fede, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones,
15; la sete di giustizia che sembra nascere dall’aridità del moderno diritto è sentita,
oltreoceano, ad esempio da Maureen Hara in Something for Nothing: Arbitrage and
Ethics on Wall Street, New York, 2016 e da Luigi Zingales, in La finanza e la
necessità di una democrazia societaria, in AA.VV., Il potere del denaro per il bene
comune, a cura di R. Bollati, Città del Vaticano, 2019.

21

Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae, 6: AAS 58 (1966), pp. 929-
941.

22

Cfr. I. Lavanda, G. Rampa, Microeconomia: scelte individuali e benessere sociale,
Roma, 2015, pp. 117-153.

23

Cfr. M. Friedman, The Social Responsibility of Buisness is to Increase its Profits, in New York Magazine, 13 settembre 1970.

24

Cfr. I. Lavanda, G. Rampa, Microeconomia: scelte individuali e benessere sociale,
Roma, 2015, pp. 117-153.

25

Cfr. L. Becchetti, L’economica “civile”: per un orizzonte umano della finanza, in
AA. VV., Il potere del denaro per il bene comune, a cura di Riccardo Bollati, Città.
del Vaticano, 2019

26

Cfr. L. Zingales, La finanza e la necessità di una democrazia societaria, in AA.
VV., Il potere del denaro per il bene comune, a cura di R. Bollati, Città del Vaticano,
2019.

27

Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. II, Vicenza, 2015, pp. 198-202.

28

G. Marongiu, A. Marcheselli, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2013, pp. 3-4.

29

Si fa riferimento al carattere di specificità, cfr. M. Basilavecchia, Corso di diritto
tributario, Bologna, 2017, pp.6-10.

30

Ibidem, pp. 6-10.

31

D.p.r. n. 641/1972.

32

Se il processo tributario deve essere rivolto a garantire la corretta applicazione
delle norme tributarie all’interno di un sistema finanziario ispirato ad equità, esso è
tutt’oggi carente espressione del diritto al contraddittorio, riconosciuto quale diritto
fondamentale dell’uomo (cfr. A.Marcheselli, Gli “otto pilastri” del principio del
contraddittorio nel procedimento tributario nella giurisprudenza italiana ed europea,
in occasione del seminario di aggiornamento professionale per i magistrati delle
commissioni tributarie delle regioni Piemonte e Valle d’Aosta, Torino, 2015; A.
Marcheselli, Contraddittorio e parità delle armi per un “giusto processo” tributario,
Torino, 2006).

33

Cfr. G. Rolla, La tutela costituzionale dei diritti, Milano, 2014, pag. 40 e ss.;
Ferrante R., Giusnaturalismo, illuminismi, codificazioni, in AA.VV., I tempi del
diritto, Torino, 2016, pp. 220-232; Cfr. Montesquieu, De l’esprit des loix, 1749; A.
Aliotta, P. Mattone, Relativismo, in Enciclopedia Filosofica, vol. X, Bompiani, p.
9535; nella concezione relativista ogni atto o fatto dipende da un contesto che viene
di volta in volta scelto come punto di riferimento, per cui non è possibile compiere
valutazioni neutrali di tali atti o fatti, ovvero in termini assoluti; dunque per
relativismo si intende la negazione di qualunque verità, che porta così ad insinuare il
dubbio nei processi della conoscenza, tra cui quelli inerenti al diritto.

34

Can. 222-§1, C.I.C.: “Christifideles obligatione tenentur necessitatibus
subveniendi Ecclesiae, ut eidem praesto sint quae ad cultum divinum, ad opera
apostolatus et caritatis atque ad honestam ministrorum sustentationem necessaria
sunt”; C.I.C., cann. 264, 1260, 1262, 1263, 1264,1266, 1271     35Paolo VI, Ecclesiam suam,1 : AAS 56 (1964) 611; Giovanni Paolo II, Redemporis
Missio, 9: AAS 83 (1991) 265; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, parte I, sez. II,
cap. III, art. 9, paragrafo 774.

Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

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