«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Lettere il 20 novembre 2018

di Giovanni Traverso

Voglio il divorzio

Pubblichiamo una lettera pervenuta alla nostra redazione. Firmata “Repubblica italiana”.

Basta, non ne posso più. Voglio il divorzio: mia moglie mi é divenuta insopportabile. Ho fatto un errore, lo ammetto. L’ho sposata troppo presto! Troppo giovane, lo confesso: non la conoscevo abbastanza! Ed ora mi ritrovo in casa una nemica. Vi faccio un esempio, lettori, perché possiate comprendermi e non giudicarmi male. Supponiamo che dopo un buon pranzo, quando tutto sembri filar liscio, quella mi guarda fissa in volto. Se mi alzo, dice: “Perché non siedi?”. Se mi siedo, ecco: comanda d’alzarmi! Mi umilia. Quando le porto una rosa, io che son povero, mi rimprovera: “Potevi risparmiare!”. Se peró risparmio, allora dice: “Non m’ami più come una volta!”. Come darle torto invero? Al tempo del nostro fidanzamento, io ero ancora una Repubblica giovane e vigorosa, nel pieno degli anni. Tutte le nazioni mi guardavano, stupendo della mia ammirabile potenza industriale e ricchezza economica. Io, così piccola, eppure tanto benedetta! Riempivo le case dei miei figli di regali: pensioni, sanità, lauti stipendi. Ingrassavo i miei figli, che mi ripagavano comprandosi i miei titoli di Stato. Allora sì che andavano a ruba! Perché tenevo la cassa nel tesoro di casa. Questo prima di conoscere mia moglie, quando i miei soldi erano al sicuro. Ma poi quella (erano gli anni ’90) mi passa davanti, seduce e intriga e fa diventare matto dietro di lei. Per corteggiarla comincio a vendere i migliori fra i miei beni pubblici agli estranei, fino a svendere le mie aziende in mano straniera. Ma quella, libertina mai sazia di amanti, mi mette ulteriormente alla prova: “Mostrami che mi ami: portami lo scalpo dei tuoi innumerevoli figli!”. E io, eccitato dalle sue promesse, metto le dita nei conti dei cittadini, prelevando dal conto in banca di ciasuno l’obolo da sacrificarle. Così, da un giorno all’altro, mi trasformo da buon padre di famiglia a ladro del mio stesso popolo, pur di sposarla! E il matrimonio si celebra infine: non in Chiesa peró, perché la sua fede razionalista glielo impedisce! Avrei dovuto capirlo, io, Repubblica battezzata cristiana, che solo al buon Dio devo quanto di bello riluce fra le mie contrade, che l’Unione Europea era donna straniera da cui guardarsi: la biasimata dalle Scritture! E invero, dopo il giorno delle nozze, il suo sorriso maliardo si é tramutato in ghigno, le sue premure in affanno. Guai a me che ho sposato una donna infedele! Pago il fio della mia cecità. Guardatemi, infatti. Com’é triste oggi la mia casa. I miei figli piangono per un sussidio, perché non c’é più chi li sfami. Le ho dato il potere di amministrarmi, farmi i conti nelle tasche, e quella ora si fa forte e bella di ció che da me ha ricevuto: il frutto del mio lavoro me l’ha rivoltato contro! Stretta al suo amante, il banchiere centrale, la mia infedele moglie trama per affossarmi definitivamente, per impossessarsi di tutta la mia eredità. Per questo io voglio il divorzio: mia moglie é pervasa da spirito di fornicazione, é adultera ed omicida! Doveva servirmi, ma ora si é servita di me per arricchire i suoi bilanci. Chiamo in causa il giudice, perché affretti il recesso dallo scellerato patto che, nella mia sconsiderata giovinezza, ho firmato: voglio uscire dall’Unione Europea; voglio divorziare da mia moglie.

Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

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