«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Costituzione italiana, Dottrina sociale, Economia e grazia il 25 maggio 2017

di Giovanni Traverso

Di chi è l’ immagine sulla moneta? Diamo al sovrano quel che gli spetta: il suo tesoro

Riassunto – La destinazione universale dei beni richiede di mettere mano a una falla del nostro sistema di emissione del danaro. Il debito pubblico si fonda su un’ irragionevole disfunzione: la banca centrale, emittente del credito, si appropria del credito stesso al momento della sua immissione in circolo. Il cedimento dell’ autorità e delle sovranità statali, la privatizzazione dei beni pubblici, lo scavalcamento della pubblica autorità da parte dei privati, deriva proprio da questo: pochi privati si sono smisuratamente arricchiti in conseguenza di una falla del sistema. Il danaro pubblico deve tornare di proprietà esclusiva dello Stato, ossia dell’ autorità pubblica che da ordine di emetterlo, non di quella che riceve l’ ordine di emissione. Le banche centrali dovranno così essere ridimensionate al ruolo che gli è proprio, di organi emittenti e controllori del flusso monetario, ma destituite d’ ogni indebito potere d’ appropriarsi del flusso di danaro pubblico emesso prestandolo a debito, cioè dietro corrispettivo di titoli, valute e interessi. La proprietà del danaro in tal modo sarà riportata all’ attribuzione naturale che gli è propria, qual’è confermata dalle parole di Cristo, secondo cui proprietaria della moneta è l’ autorità civile (Mt,22,21-22). Ora, l’ autorità civile è Cesare, il sovrano. Nella nostra Repubblica, il sovrano in nome e per conto della quale i governanti sono eletti ed emettono leggi e i giudici emettono sentenza è “il popolo italiano”, erede appunto delle funzioni di sovranità di rappresentanza. Pertanto, ripristinando il giusto equilibrio, cioè la proprietà della moneta all’ autorità sovrana, ne deriverà – per la nostra Repubblica – la doverosa attribuzione di un reddito di cittadinanza inteso come estensione di un nuovo diritto sociale di accesso alla proprietà sulla moneta emessa, da garantire, almeno in misura minima, a tutti i cittadini sovrani – secondo i principi della dottrina sociale (§171) e secondo la costituzione italiana (art.42,comma 2) – quale giusta ed equa attribuzione del credito sovrano, il quale non può essere privo di contenuto economico. Tal misura minima realizzerà così il potere d’ acquisto dei beni primari indispensabili alla persona verso cui l’ autorità pubblica – statale e bancaria – sono poste al servizio. Acqua, cibo, tetto e cure non possono essere oggetto di elemosina e sussistenza: se non possono più essere corrisposti come servizi dello stato in cambio del pagamento delle tasse, esse diventano oggetto di un diritto sovrano, che si rende accessibile liberamente da parte di tutti i cittadini solo in quanto l’ autorità tributi a ciascuno la proprietà della moneta per una parte del gettito emesso, in accredito alla sovranità propria della popolazione, che ha diritto a vivere e a trasmettere la vita. Un popolo sovrano ma straccione, per la cui povertà non è consentito d’ aver famiglia, non è infatti coerente coi principi della nostra costituzione, né con quelli che derivano dalla destinazione universale dei beni.

Negli interventi precedenti abbiamo cominciato a delineare un percorso, fornendo alcune chiavi di lettura della realtà politica presente, certamente incompleto e imperfetto, come ogni ragionamento umano solo può essere, epperò al contempo speriamo chiaro nello svisceramento dei primi principi da cui farci guidare nella proposta di rinnovamento della vita politica e sociale della nostra nazione.
Ricordiamo dunque questi principi:

– la carità comune, fine dell’ azione sociale
– la giustizia, ossia dare a ciascuno ciò ch’ è suo, quale misura minima della carità
– la verità naturale su Dio e sull’ uomo, affinché la carità non precipiti in sentimentalismo o umanesimi senza riferimenti trascendenti
– la persona, fine della creazione, e dunque di ogni istituzione politica e religiosa (stati, sovrastati, chiese), poste al servizio del nostro sviluppo integrale per darci il nostro pane quotidiano, materiale (acqua, cibo, vestito, casa) e spirituale (parola di Dio e divini sacramenti).
– la nostra dignità trascendente, per cui ognuno di noi è il valore in quanto persona, simile a Dio ch’ è persona, non in quanto ha accidentalmente questo o quest’ altro (ricchezza, danaro, prestigio sociale, qualità naturali o acquisite con lo studio), né per diritti successivamente acquisiti alla sua stessa natura (lignaggio, eredità), ma per la stessa costituzione naturale, quale creatura ragionevole, personale, spirituale modellata a immagine di Dio che ci chiama come al suo fine da tutta l’ eternità avendoci pensati, desiderati ed infine creati nel tempo presente, per convocarci a partecipare in comune cittadinanza la sua vita celeste e beata. Onde, ogni persona umana, perfino la più stracciona e bizzarra, ha costituzionalmente in se stessa un valore pari all’ infinita vocazione che la trascende e all’ eterno amore con cui e per cui è stata creata : valore infinito e trascendente, perché non si può adeguatamente riconoscere e stimare – tanto meno commercialmente – fin tanto che esso non sarà pienamente rischiarato e rivelato nella visione di Dio al giudizio ultimo su tutte le cose.

Accanto a questi principi, le cui potenzialità dovremo studiarci di approfondire per collegare alla pratica di proposte concrete, abbiamo inoltre cominciato a evidenziare alcuni riferimenti ai principi della dottrina sociale, nonché a quelli che si desumono dall’ attuale nostra carta costituzionale, regolante la coabitazione civile. Abbiamo così e per ora accennato a:

– la sovranità popolare, ossia il potere conferito alla popolazione italiana di eleggere a farsi rappresentare nei propri interessi da governanti scelti. Tale funzione, un tempo spettante al sovrano, è oggi esercitata dalla collettività dei cittadini che hanno il diritto e il dovere di metterla in esercizio per il proprio bene: ossia con l’ elezione di Governanti saggi che sappiano attendere al bene comune delle persone.
– la sussidiarietà, per cui nell’ organizzare la vita sociale i corpi maggiori (stato, enti sovra-statali) sono funzionali al servizio dei minori (corpi intermedi, famiglie, persone), senza interferire con i rispettivi ambiti di competenza, e viceversa.
– la tripartizione dei poteri, per cui in ordine al bene comune è prudenza dello stato di diritto che nessuna autorità detenga nelle proprie mani le triplici funzioni in cui il potere di governo si esplica: legislativo, esecutivo e giudiziario.
– la precedenza del diritto, per il quale abbiamo visto che, nell’ ambito del diritto, quello di natura ha la precedenza, onde consegue che da una parte ognuno di noi gode per costituzione naturale di diritti che la giustizia deve attribuirgli, se vuol mantenersi nel giusto (ius), e dall’ altra che non vi sono diritti positivi che possano contraddire i diritti costituzionalmente acquisiti per la stessa natura dell’ uomo – personale, ragionevole, creata simile a Dio e avente Dio per fine – senza trasformarsi in aberrazione del diritto, e dunque ingiustizia.
– la destinazione universale dei beni, perché Dio ha ordinato i beni creati al servizio dell’ uomo e dell’ umanità intera, non di una parte a scapito dell’ altra.

Con riferimento a quest’ ultimi due principi in particolare, vogliamo oggi cominciare a ragionare sulla moneta, bene comune in quanto metro del valore.

Trattando di un bene, e di bene comune universale qual’ è quello monetario, vogliamo cominciare da una considerazione di realtà, riportando alcune parole del Magistero riguardo alla destinazione universale dei beni:

« Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità »

Ora, fra tutte le cose create e utili all’ uomo, la moneta è indubbiamente uno di questi beni. E’ tramite la moneta infatti che noi abbiamo accesso a tutte quelle necessarie cose senza la quale non potremmo vivere: acqua, cibo, cure, tetto etc.

Con la moneta possiamo inoltre soddisfare tutti quegli appetiti che esulano i bisogni necessari e primari: attività sportive, interessi, viaggi etc.

Si comprende la ragione per cui, data l’ importanza della moneta in ordine al bene comune, essa sia tutelata a norma di legge da forme di abuso, contraffazione etc.

Inoltre, per la sua emissione, lo stato di diritto moderno ha conferito alle banche centrali il compito della stampa, dell’ emissione, del controllo, della regolamentazione dei biglietti e delle monete.

Le banche centrali, dunque, assolvendo alla loro funzione sociale, hanno il compito di aver cura di quel bene pubblico e universale che è la moneta.

Ora: « La dottrina sociale richiede che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti, così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari, ed esclude il ricorso a forme di […] promiscuo dominio. »

L’ affermazione è chiara: dove c’ è un bene, la sua proprietà deve essere equamente accessibile a tutti, così che tutti, almeno in qualche misura, divengano proprietari di quel bene, che non può essere oggetto di “promiscuo dominio”, vale a dire di forme poco chiare d’ esclusiva sul bene creato e posseduto da parte di alcuno a scapito di tutti gli altri.

Ciò solleva una domanda circa il bene monetario e la sua proprietà: chi acquista infatti la proprietà della moneta al momento della sua emissione e successiva immissione come circolante avente valore legale?

Per dare risposta adeguata a questa domanda introduciamo il pensiero e l’ opera del prof. Giacinto Auriti (Guardiagrele, 10 ottobre 1923 – Roma, 11 agosto 2006), giurista cattolico, la cui preoccupazione, nel lungo percorso di studioso e riformatore, fu proprio quella di dare risposta a questa domanda, stimolare la coscienza collettiva a prendere atto delle conseguenze e indicare nuovi percorsi. Lo svisceramento della questione portò infatti alla luce una pesante falla quanto al sistema di emissione monetaria e allo stato di diritto che lo regola, che oggi si rivela in tutta la sua affliggente portata.

Ricordandoci che la giustizia non è altro che la ferma e costante determinazione di attribuire a ciascuno ciò che è suo, il prof. Auriti, con riferimento alla dottrina sociale e alla destinazione universale dei beni, si interrogava dunque su una questione di giustizia che emergeva a partire dalla domanda:

« Di chi è la proprietà della moneta al momento dell’ emissione? »

Tale domanda lo portava a confrontarsi con la storia dei sistemi monetari, sulla modalità dell’ emissione di moneta negli stati moderni, e sul ruolo che le banche centrali in particolare assunsero a cominciare dalla fondazione della Banca d’ Inghilterra nel 1694, perché da quel momento un nuovo sistema di emissione a debito si affermò, attraverso la rivoluzione francese, su tutto il continente europeo, quindi in America e oggi in tutto il mondo.

La questione, lungi da porsi quale mero esercizio speculativo o di ricerca storica, portò il professor Auriti ad alcuni rilievi e scoperte, la cui ricaduta nell’ ordine pratico lo spinsero a:

– presentare in prima persona formale denuncia contro il Governatore della Banca d’ Italia Carlo Azeglio Ciampi nel 1994;
– elaborare proposte di legge riformatrici di grande rilevanza e portata, quanto all’ acquisizione di nuovi diritti sociali per i cittadini;
– sperimentare una moneta di nuovo conio, che ebbe un certo successo al momento della sua introduzione, per poi venire sospesa e ritirata per ordine dell’ autorità giudiziaria, senza peraltro conseguenze penali per il professore, che se pure non poté vincere la sua battaglia, neppure la perdette.

In quest’ articolo, affacciando il lettore in medias res sulla prima di queste azioni legali intraprese dal prof. Auriti, vogliamo confrontarci direttamente con la comparsa in difesa della Banca d’ Italia presentata dall’ Avvocatura della stessa al tempo della denuncia del Governatore della Banca d’ Italia.

E’ un documento di poche pagine che ci consentirà dapprima di prendere coscienza dei temi e delle problematiche sollevate da una parte e dell’ altra, e in secondo luogo di comprendere meglio il ruolo pubblico che la Banche centrali esercitano al servizio dello Stato ed entro i suoi vincoli di legge.

La denuncia si basava sulla seguente tesi: la Banca centrale prestando allo Stato la moneta che crea, lo indebita. Infatti, nessuno può prestare se non ciò ch’ è di sua proprietà. Ora, la Banca centrale, prestando la moneta che emette per conto dello Stato, dimostra di appropriarsene. Ne consegue perciò, secondo il Prof. Auriti, che essa è passibile di denuncia per appropriazione indebita. La moneta emessa, sempre secondo il Professore, non è di proprietà della banca centrale, ma dello Stato per conto a al servizio del quale si emette al servizio dei cittadini, a cui pertanto andrà trasferita – senza corrispettivo da parte dello Stato in titoli, valute o quant’ altro – e accreditata quale oggetto di diritto sociale universale. Un tale diritto è infatti accesso alla proprietà del valore indotto monetario, cioè di quel valore che si crea e accetta convenzionalmente per fede pubblica e per norme dello Stato che ne normalizzano la creazione, circolazione e accettazione.

Estrapoliamo dunque i passaggi più significativi di questa comparsa di difesa dell’ Avvocatura della Banca d’ Italia, corredandola di commento.

COMPARSA DELL’ AVVOCATURA DELLA BANCA D’ ITALIA in difesa della stessa nei confronti della denuncia presentata dal prof. Auriti nel 1994 –

[TESTO DELLA COMPARSA] – Non è vero che la moneta vale in quanto è accettata, ma semmai, come la storia e la cronaca stanno a dimostrare, che essa è accettata solo in quanto abbia un valore. Di qui la necessità che tale valore, rispondendo ad un fondamentale interesse pubblico, sia difeso e garantito dalle Pubbliche Autorità, funzione nei moderni stati affidata alle banche centrali.

[COMMENTO – Qui si afferma che il valore monetario è un bene (“interesse”) pubblico, dunque di tutti i cittadini, e pertanto la Pubblica Autorità (cioè l’ autorità civile) ha affidato alle banche centrali di difendere il bene e garantirlo.
Ci chiediamo dunque: in che modo le banche centrali difendono il bene monetario che è stato loro affidato e in che cosa consiste la cura che, al nostro servizio, le garantiscono?]

[TESTO DELLA COMPARSA] – Sotto il profilo giuridico, poi, il batter moneta ha da sempre rappresentato e rappresenta tutt’ ora una delle più evidenti e indiscusse espressioni della sovranità statale, sicché può correttamente affermarsi che il valore della moneta trae il proprio fondamento solo ed unicamente da norme dell’ordinamento statale, che, per solito, disciplinano minutamente la creazione e la circolazione della moneta, ne sanciscono l’efficacia liberatoria, ne sanzionano la mancata accettazione in pagamento e tutelano la fede pubblica contro la sua falsificazione ed alterazione.

[COMMENTO – Qui si afferma che il valore della moneta si fonda “solo ed unicamente sulle norme dell´ordinamento statale”. Tuttavia subito dopo viene anche detto che l´efficacia liberatoria entra in relazione con la fede pubblica in quanto questa ne accetta il valore esclusivo, ad esempio contro le falsificazioni e alterazioni che le leggi sanzionano. Sembra dunque che siano necessarie due realtà per l’ avvaloramento della moneta: la legge di Stato da una parte e la fede pubblica dall’ altra. Questa fede pubblica non è altro poi che un’ attribuzione di fiducia da parte della collettività dei cittadini verso le istituzioni di Stato, da cui si attendono politiche monetarie giuste e a norma di legge. Se questa fiducia pubblica, per qualunque ragione, venisse meno, l’ emissione della moneta a sua volta sarebbe messa in crisi, perché ciò che la suppone e avvalora è la legge dello Stato unitamente alla fiducia collettiva dei cittadini in esso.

Affermato il valore normativo che si fonda sull’ ordinamento statale, si citano dunque le leggi di Stato che regolano la funzione emittente la moneta, cui Stato (tramite ministero del Tesoro) e Banca centrale concorrono.]

[TESTO DELLA COMPARSA] – La funzione di emettere moneta, affidata nella sua quasi totalità alla Banca d’Italia, sulla base di un rapporto avente natura concessoria, dall’art. 28 aprile 1910, n. 204, ha successivamente assunto il carattere di un’ attribuzione istituzionale della Banca centrale, a seguito del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 371, e dell’art. 1 dello Statuto della stessa Banca, approvato con R.D. 11 giugno 1936, n. 1067, e successive modificazioni, a norma del quale essa è un istituto di diritto pubblico che, quale unico istituto di emissione, emette biglietti nei limiti e con le norme stabilite dalla legge.
In ordine alle modalità di esercizio di tale funzione, l’art. 4 del T.U. n. 204/1910 e il D.P.R. 9 ottobre 1981, n. 811, prevedono che alla fabbricazione del biglietto concorrano la Banca d’Italia e lo Stato, tramite il Ministero del tesoro, in modo che ne l’ una ne l’ altro possano formare un biglietto completo.

[COMMENTO – Qui si esplicita che la Banca centrale è l’ organo di diritto pubblico competente per l’ emissione e che nel processo di emissione Stato e Banca sono interdipendenti. Tuttavia, quanto all’ effettiva proprietà sulla moneta emessa, non è detto ancora nulla di specifico.]

[TESTO DELLA COMPARSA] –  Mentre per la fabbricazione l’Istituto di emissione e il Ministero del tesoro hanno competenze congiunte e coordinate, le decisioni riguardanti la quantità dei biglietti da immettere nel mercato ed i tempi dell’immissione competono alla sola Banca quanto strumentali all’esercizio delle funzioni di controllo della liquidità del sistema e di salvaguardia del valore del metro monetario, affidatele nell’ordinamento italiano (T.U. n. 204/1910 e Statuto della Banca d’Italia, ma anche art. 47 della Costituzione) e ora trovanti fondamento, anche a livello comunitario, nell’art. 105 del Trattato di Maastricht sull’Unione Monetaria Europea.

[COMMENTO – Qui si riconosce il valore del danaro quale metro monetario (“misura del valore e valore della misura” secondo la definizione del Prof. Auriti) e la sua salvaguardia quanto alla fabbricazione (il quanto e il quando), spettanti esclusivamente la Banca centrale, che ne assume interamente il servizio e il compito. Si citano ordinamenti legislativi dello Stato italiano e trattati internazionali al riguardo (Maastricht).]

[TESTO DELLA COMPARSA] –  La domanda attorea è poi, anche nel merito, destituita del benché minimo fondamento. Essa muove, infatti, dalla premessa, completamente errata, secondo cui difetterebbe nel nostro ordinamento una norma di legge che indichi il proprietario della moneta all’atto dell’ emissione, sicché l’ appropriazione della stessa da parte della Banca d’ Italia si baserebbe su una consuetudine interpretativa contra legem. Ebbene, alla stregua della puntuale disciplina della funzione di emissione, i biglietti appena prodotti dall’ officina fabbricazione biglietti della Banca d’Italia costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume le relative spese ( art. 4, comma 5, del T.U n. 204/1910 ).

[COMMENTO – Dopo aver delineato la funzione della Banca centrale quale ‘fabbricante’ ed ‘emittente’ della moneta, si giunge al punto sollevato circa l’ appropriazione del suo valore, punto contestato dal prof. Auriti, per il quale tale appropriazione si deve solo a una consuetudine storica – contro giustizia, più che contra legem .

Dapprima viene dunque chiarita la proprietà della moneta in quanto “merce”: essa – si scrive – è della Banca centrale. Dunque il materiale cartaceo è di proprietà della Banca centrale. Ma il suo valore? Seguitiamo la comparsa in difesa.]

[TESTO DELLA COMPARSA] – Essi [i biglietti] acquistano la loro funzione e il valore di moneta solo nel momento, logicamente e cronologicamente successivo, in cui la Banca d’Italia li immette nel mercato trasferendone la relativa proprietà ai percettori.

[COMMENTO – Dunque i biglietti acquistano il loro valore al momento dell’ immissione nel mercato. Ora, fra il momento in cui la moneta è solo merce depositata nei magazzini delle Banche centrali e quello dell’ immissione del mercato in cui acquista il valore sopraggiunto per convenzione sociale (in quanto la società degli uomini concreti per fede pubblica ne accetta e accoglie l’ avvaloramento nominale stabilito dalle norme dello Stato) chi si appropria del nuovo valore aggiunto, dal nulla creato e per generale convenzione accettato al momento dell’ immissione nel mercato? La Banca, che ne trasferisce la proprietà ai percettori.

E qui è il punto decisivo: il “trasferimento di proprietà” presume che la banca centrale sia diventata proprietaria dei biglietti emessi. Ora, il trasferimento può avvenire infatti in due modi: a credito o a debito. Se la moneta creata fosse trasferita nel primo modo, come ci si aspetterebbe in uno Stato proprietario della moneta, la nuova moneta emessa dovrebbe semplicemente essere accreditata dal sistema bancario nelle casse dello Stato. E invece la Banca centrale trasferisce moneta facendosi pagare acquistando e ricevendo in pegno beni e valori di Stato, col che si dimostra che ella si appropria del danaro creato ed emesso per conto d’ esso!

Trasferendo ai percettori la proprietà di quella merce stampata ed ora immessa sul mercato, la Banca centrale si è attribuita la proprietà non solo su quanto le spetta ed è suo, il valore tipografico della merce, ma anche quello che non è suo, ma dello Stato: cioè il valore monetario aggiuntosi – e creatosi dal nulla – che ora immesso in circolo viene legalmente accettato dal percettore. Con ciò si chiarisce che la Banca centrale si appropria del valore monetario al momento dell’ immissione in circolo. Ma leggiamo la conferma di quanto andiamo scrivendo.]

[TESTO DELLA COMPARSA] – La moneta viene infatti immessa nel mercato in base ad operazioni legislativamente previste e disciplinate, a seguito del compimento delle quali la Banca d’Italia cede la proprietà dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture contabili dell’Istituto di emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli, valute, ecc.) che vengono, invece, appostati nell’attivo.

[COMMENTO – Ella dunque non trasferisce ai percettori solo merce di sua proprietà, ma la proprietà di una merce a cui al valore merceologico si è aggiunto il valore proprio della moneta: ché altrimenti non potrebbe riceverne in cambio titoli di Stato e valute!

Se ella infatti non fosse costituita creditrice del valore monetario emesso e trasferito a terzi, ma fosse solo pagata per il costo tipografico di stampa (inchiostro, macchine etc.) e di emissione (adempimenti, bolli etc.), nonché per il corrispettivo valore merceologico di ciò che trasferisce (carta) ella non avrebbe ragione di acquisire contropartite sul valore monetario ceduto, ma solo un compenso salariale, garantitole da parte dello Stato cui cede i biglietti per il lavoro svolto in funzione pubblica.  Ma la Banca centrale non cede solo la moneta come “merce” (carta tipografizzata), ma la proprietà del valore monetatorio stesso emesso e creato dal nulla: e tanto è vero questo, che ella, fatta proprietaria del valore “cronologicamente e logicamente successivo all’ emissione”, cioè il valore convenzionale che deriva dalla messa in circolo, ne registra poi al passivo la cessione (sic!), non come passivo di costo tipografico (“merce di carta tipizzata”) ma come passivo di valore ceduto, per cui ella riceve in contropartita o in pegno titoli e valute di Stato che non le sono dovute!  In pegno di cosa infatti li riceve? Di una proprietà legalmente arbitraria che ella esercita per normalizzata consuetudine: per una falla e vuoto giuridico, che richiede di dichiarare la moneta proprietà dello Stato, e dunque dei cittadini, alla sua nascita.

Ma proseguiamo nella lettura degli argomenti dell’ Avvocatura.]

[TESTO DELLA COMPARSA]  Se si considera oltretutto che, come già osservato, le spese di fabbricazione dei biglietti e l’imposta di bollo sono a carico della Banca centrale e che gli utili annuali da essa conseguiti, effettuati i prelevamenti e le distribuzioni di cui all’art. 54 dello Statuto, ai sensi dell’art. 23 del T.U. n. 204/1910 vengono devoluti allo Stato, si evidenzia altresì l’assoluta inconsistenza ed insensatezza delle tesi attoree , secondo cui l’ erogazione della moneta sarebbe effettuata dalla Banca d’Italia addebitandone allo Stato ed alla collettività l’intero ammontare senza corrispettivo.

[COMMENTO – L’ art. 23 cui la comparsa di difesa fa cenno a dimostrazione dell’ inconsistenza delle tesi attoree, è una legge dello Stato italiano del 1910 che prescrive una partecipazione dello Stato agli utili della Banca; tesi che, lungi dal fugare i nostri dubbi, li conferma. Infatti, come realizza la Banca centrale utili tali da consentire allo Stato di parteciparne? Se il suo servizio è solo di stamperia ed emittente della moneta, senza alcuna appropriazione del valore emesso, dove trova tutti quei soldi tali da farle generarle utili così cospicui? Non li trova: li crea dal nulla, appropriandosene e prestandoli a debito. Da dove le deriverebbero infatti utili così sostanziali da poterne addirittura partecipare a uno Stato sovrano, se non vi fosse l’ appropriazione di cui sopra sul valore convenzionale delle merce che cede? Se ella infatti cedesse solamente il costo del proprio lavoro tipografico, nonché il costo del lavoro di emittente di controllo, da dove potrebbe partecipare significativamente allo Stato utile alcuno? Ma se ella è in grado di realizzare e partecipare degli utili allo Stato, con ciò si conferma che la Banca centrale non è solo una sorta di tipografia ed emittente di controllo del flusso monetario al servizio dello Stato, ma un istituto di diritto pubblico che, generando valore monetario dal nulla e appropriandosene in virtù della consuetudine e delle norme fissate dalle leggi di Stato, si esercita poi in un corrispettivo potere d’ acquisto ch’ ella attua acquistando, in cambio della cessione di quel valore di cui si appropria, titoli e valute di Stato, sugli utili dei quali poi ella devolverà allo Stato una percentuale, accettata e regolata secondo legge.
Ora, una tale appropriazione, ancorché regolamentata dallo Stato e ammessa dalla consuetudine, è indebita, in quanto ingiusta ed arbitraria: ingiusta nei rispetti di quei principi di equa accessibilità alla proprietà dei beni, per la quale tutti siamo, almeno in qualche misura, proprietari dei beni di destinazione universale, fra cui è il danaro, di cui ella – all’ atto della creazione e immissione – si appropria interamente ed esclusivamente; è inoltre del tutto arbitraria nella forma di quel promiscuo dominio sui beni universali, fra cui è il danaro, che la dottrina sociale obbietta e stigmatizza, ma ch’ ella continua ad esercitare anche per avallo dello Stato, secondo una consuetudine di legge, che regola una sostanziale ingiustizia.

Se a qualcuno infatti è conferito il potere pubblico di emettere moneta – come si ricordava al principio della comparsa – questa è l’ autorità civile, che rappresenta e governa gli interessi della collettività dei cittadini. Ma che all’ autorità civile, che ha il potere sovrano di emettere moneta, questo potere venga “prestato dietro corrispettivo” evidenzia che esso rimane in colui che lo presta, e non è più in colui che lo dovrebbe esercitare per sua stessa natura. L’ ordinamento attuale, in altre parole, lede il diritto dello Stato ad emettere la propria moneta, diritto garantito solo dal fatto che la moneta emessa venga subito dichiarata proprietà dello Stato, e dunque dei suoi cittadini, entro un margine di disponibilità a essere tributata, secondo giustizia, quale reddito minimo di cittadinanza, in ordine all’ acquisizione del potere minimo d’ acquisto sui beni primari: acqua, cibo, cure, tetto.

Si lasci dunque alla banca centrale, che è al servizio dello Stato, le funzioni di emissione e controllo della moneta.
Ma che lo Stato non consenta di ricevere dietro corrispettivo qualcosa che è suo secondo la parola del Signore, maestro del diritto, che una volta per tutte ha garantito:

« Di chi è l’ immagine sulla moneta? »

« Di Cesare ».

« Date dunque a Cesare quello che è di Cesare ».

L’ immagine sulla moneta è di Cesare: la moneta è di proprietà dell’ autorità civile, e dunque sia emessa dalle banche centrali a suo credito e non a debito.

E poiché l’ autorità civile è al servizio dei cittadini, tale proprietà, secondo il principio della destinazione universale dei beni, sia trasferita in parziale proprietà ai suoi cittadini, quanto al conferir ad ogni cittadino potere d’ acquisto sui bisogni primari.

Stato, banche e moneta sono infatti creati e ordinati al servizio delle persone, e non viceversa.

Amen.

Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

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