«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Costituzione italiana, Dottrina sociale il 21 novembre 2017

di Francesca Tonnarelli

Eucaristia e carità: perché dobbiamo nutrirci di Dio

Riassunto – L’autore del seguente intervento riferisce e rielabora, seguendo l’insegnamento del magistero, un approfondimento del Cardinale Giuseppe Siri sul tema eucaristico, risalente ad un aggiornamento pastorale per il clero datato 28 Gennaio 1983.

L’eucaristia, che è Cristo nell’ostia consacrata, indica ai fedeli quale sia la volontà di Dio in rapporto all’esercizio della Carità, ossia a quel raccordo intercorrente fra il divino Redentore e la specie eucaristica. In tale Sacramento -che è efficienza in quanto costante rendimento di forza nell’azione caritatevole- si riflettono le indicazioni che noi siamo tenuti a seguire per vivere nella Grazia; non si avrà la pretesa di annoverare tutte le predette -non si ritenga, dunque, ciò che segue come concluso- ma indubbiamente evidenziare quelle più immediate, logiche e utili per la vita di Carità. Si evince, innanzitutto, dalla parola proferita durante la messa:

“[…]hic est enim calix sanguinis mei […] qui pro vobis et pro multis effundetur”

(trad. lett: “questo è realmente il calice del sangue mio, che per voi e per molti è versato”)

che l’eucaristia è per tutti, ma è doveroso ricordare, a tal proposito, le discussioni e le proteste riguardanti la divergenza fra il testo latino sopraccitato, in cui emerge l’espressione “pro multis”, e la versione italiana in cui si legge “per tutti”, traduzione evidentemente discostante da un’interpretazione pedestre; per chiarezza si ricorda, quindi, che il testo CEI, più che offrire una resa letterale dell’originale contenuto, preferisce riecheggiare una ricostruzione storica della tradizione cristiana cattolica, onde evitare fraintendimenti e rendere più accessibile la parola di Dio ai fedeli; perciò con un po’ di ragionamento -come ha affermato il Cardinale Giuseppe Siri- c’è equivalenza tra i tutti e i molti. Quindi, prendendo la traduzione italiana come esatta dottrinalmente, noi sappiamo che l’eucaristia è per tutti ed ecco che abbiamo una prima indicazione sull’orientamento della Carità: noi dobbiamo volere bene a tutti, senza distinzione; noi vorremo bene, dunque, a coloro che sono buoni, e questo ci risulterà semplice poiché saremo compiaciuti dalla Carità che loro stessi effondono, ma proveremo altrettanto sentimento per quelli che buoni non sono, affinché il nostro amore sia per loro invito ad esserlo; così la Carità è per tutti e non ci sono categorie da escludere.
La seconda indicazione -che dalla precedente deriva- è la sopportazione, di cui massimo esempio è Dio; quante volte -per esempio- laici o clericali maneggiano l’eucaristia con disdicevole sufficienza, senza dare evidenza di rendersi conto di avere per le mani il corpo e il sangue di Cristo? Eppure Dio è sempre fra noi e la Sua divina pazienza non reagisce (se non per dare segni), nonostante che sotto l’aspetto del pane e del vino consacrati vi sia Cristo stesso, “visibile” non per via di sensi, ma per via d’un intelletto rischiarato dal lume della fede. Egli, lì presente, con sopportazione e misericordia infinite ci permette di agire in totale libertà, lasciandoci quindi scegliere fra il bene e il male, non portando rancore e non rinnegandoci mai nemmeno difronte ai nostri peggiori peccati d’incredulità e trascuratezza verso il doveroso ossequio d’adorazione e amore che la Sua reale presenza fra noi suscita; e il messaggio di carità che da questo scaturisce consiste proprio in quella sopportazione che Dio domanda a tutti noi nei confronti del nostro prossimo:

“se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra […]” (Mt, 5,39)

Essa sarà richiesta a ciascuno di noi nella giusta misura, ossia entro le nostre capacità, in quanto Egli non ci domanderebbe mai ciò che noi non possiamo offrirgli dacché esseri imperfetti.
Quindi abbiamo detto che la Carità, come promanazione della forza eucaristica (al cui cospetto siamo tutti uguali), richiede a noi di amare il prossimo indistintamente e di sopportarlo, rinnegando talvolta noi stessi, il nostro orgoglio, quello stesso orgoglio che fa pendere la nostra anima come piombo verso la dannazione.

Dunque amore e sopportazione nell’uguaglianza di una disposizione equanime verso tutti: ecco solo alcuni raggi del miracolo eucaristico.
Poniamo ora, per assurdo e convenienza, che la Carità abbia unicamente le due caratteristiche predette; ebbene agire secondo Carità non appare facile né vieppiù diventa semplice nel momento in cui siamo messi nella condizione per poterla esercitare, a causa della tendenza al tornaconto egoistico e personale; dunque ecco perché noi dobbiamo partecipare all’eucaristia e nutrirci di essa. La nostra anima, invero, abbisogna di forza, di quella forza spirituale che può ottenere solo da Dio, e che effettivamente ottiene grazie al sacramento istituito ad hoc: l’eucaristia; quindi l’ostia consacrata -il pane dei forti- diventa fondamentale perché la nostra anima trovi la tensione per rendersi sempre più vicina al Padre attraverso la Carità, che permette a tutti noi di vivere nella Grazia per libera scelta. E noi di questa forza abbiamo fortemente bisogno in quanto ci dona la facilità di sorridere non per convenienze, o per quella pazienza dettata da malintesi ed insensati compromessi, ma piuttosto perché infonde nella nostra intimità amore caritatevole, solidarietà, grazia santificante affinché possiamo compartecipare al creato di Dio con vitalità sorgiva. Quindi dobbiamo essere consapevoli dell’insufficienza della preghiera del nostro cuore a Dio, sebbene sia sincera, fedele e costante; senza dubbio l’intima devozione è fondamentale, in quanto permette alla nostra anima di mettersi in profonda comunicazione con il Signore, ma essa non basta. Infatti come l’amore vicendevole degli sposi -uniti indissolubilmente dal Sacro vincolo del Matrimonio- spinge i suoi ministri ad unirsi carnalmente perché da due sono fatti una cosa sola per opera della Grazia -adempiendo così alla Legge di Dio, che è la Carità- così l’amore di Dio nella nostra anima desidera ardentemente l’Altissimo -proprio perché vuol congiungersi ed unirsi al suo Creatore tramite l’amplesso eucaristico -da cui abbiamo detto ella trae quella forza che la rende pienamente partecipe del Signore, fattosi per amore suo proporzionato nutrimento sotto l’aspetto del pane e del vino.

Così Gesù Cristo chiama ciascuno di noi all’altare, lo ribadiamo, senza distinzione alcuna; e proprio questo Egli ci rende palese durante l’ultima cena, in cui sono utilizzati pane e vino per istituire il Sacramento dell’eucaristia; alimenti semplici, dunque, caratteristici del quotidiano, conosciuti da tutti. Ed ecco il miracolo della transustanziazione: Dio che si fa pane e vino, presentandosi a noi con immensa semplicità -Egli che è Sacerdote, Re e Profeta e che tutto potrebbe- sotto apparenze che, appunto, indicano l’estrema bontà con cui la divina provvidenza ha agito nei nostri confronti, camminando in punta di piedi per non provocare in noi stati d’animo che possono turbarci, e permettendo così il magnifico amplesso della nostra anima con il Suo spirito; ma tale miracolo, soprattutto, risiede nella manducazione, ossia nel fatto che Dio stesso ci conceda di assimilare la Sua persona -generoso sacrificio- attraverso la naturale e immediata conseguenza del nutrirsi. Quindi siamo noi tutti chiamati all’altare del Signore affinché possiamo nutrirci del vero pane, ossia di Dio stesso, attraverso cui la nostra anima è dotata della forza per agire secondo Carità; l’eucaristia è infatti Gesù Cristo; e quale altro nutrimento potrebbe desiderare la nostra anima, se non il suo Creatore? A questo nutrimento viene posto, però, un unico limite; infatti come l’unione matrimoniale, pur essendo casta, talvolta sarà astinenza in virtù del sacrificio, così pure l’Eucaristia, pur essendo fonte infinita di Grazia e trascendendo dalla gestualità carnale in senso stretto, richiederà digiuno allorquando la nostra anima sarà in stato di peccato mortale; infatti -come scrive San Paolo- noi non mangeremo e non berremo la nostra condanna. Ciascuno di noi è chiamato, quindi, alla mensa eucaristica del Signore per farsi forte nelle virtù teologali -Fede, Speranza, Carità- che necessitano dell’ostia consacrata per crescere, non solo della preghiera; e siamo chiamati interamente senza distinzione, poiché la legge di Dio è uguale per tutti (come l’esercizio della carità -abbiamo detto- è diretto indistintamente al bene del prossimo).
In conclusione vogliamo accennare -poiché altro sarà l’intervento in cui verrà approfondito- il prezioso parallelismo che si può fare col nostro sistema giuridico, che dalla giustizia divina -uguale per tutti appunto- sembra trarre ispirazione, codificando uno dei principi della nostra costituzione, espresso all’articolo terzo, comma primo:

“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”

La nostra giustizia, quindi, si propone di non fare distinzione fra coloro che sono assoggettati alla legge del nostro stato in virtù della pari dignità sociale (principio di uguaglianza) e questo parrebbe conforme alla legge di Carità -in quanto da esercitare nei confronti di tutti indistintamente- applicata per analogia al potere temporale della nostra costituzione; infatti come l’eucaristia è per tutti e la Carità (essendo suo riflesso) di conseguenza vorrebbe essere attuata da tutti -poiché l’anima convertita di ognuno di noi vuole santificarsi in Cristo- senza distinzione di destinatari, così, dal momento che i muri dei nostri tribunali parlano invocando il principio di uguaglianza, che ci trova tutti uguali di fronte alla legge, pare che il nostro sistema giudiziario -quantomeno idealmente- sia mosso dalla volontà di non creare ingiustizia, in pieno spirito di Carità.

Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

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