«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Economia e grazia il 20 novembre 2017

di Giovanni Traverso

Oltre la civiltà del commercio

Riassunto – La Scrittura, quale Parola divina, è interprete degli eventi e dei problemi di ogni tempo della storia. Dio conosce tutto, il passato, il presente e il futuro: nei gesti e nelle parole del Logos fattosi carne, Gesù Cristo, il vangelo ci rende note le nervature più profonde che spiegano le ingiustizie di sistema, entro cui come creature politiche, fatte cioè per partecipare al bene della polis terrena, ci troviamo.
In quest’articolo ci soffermiamo sul particolare ed emblematico trattamento che il Signore riservò agli operatori economici che facevano del commercio il proprio fine ultimo, sottoponendo al bene eterno, che è dono di Dio per tutti, il bene caduco e particolare del profitto.

« Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi. » 

Osserva: si avvicinava la Pasqua dei Giudei, si legge “si avvicinava il giorno del giudizio dei cristiani“. Esso è il giorno primo ed ultimo. Primo, perché per i beati segna l’inizio della piena beatitudine, delle sofferenze purganti per quanti hanno conservato la grazia imperfettamente, delle pene eterne e senza rimedio per quanti non hanno creduto nella divina misericordia. È l’ultimo invece in ordine al tempo biologico, in quanto l’anima personale rende il corpo alla terra per andare al giudizio particolare, dove viene giudicata degna o indegna di vedere Dio e gioire. È ultimo infine anche per la libertà umana di scelta, quanto alla capacità di meritare con la grazia la visione di Dio tramite le opere della fede.

Gesù salí a Gerusalemme“: Cristo Gesù, che è Dio da Dio, fattosi uomo, per la propria potenza ascese al cielo con la sua carne glorificata dopo essere risorto. Gerusalemme si legge “luogo d’elezione per le anime purificate nella carità e nel perdono divino”. Egli assunse in solido nella propria carne i debiti di tutta la natura umana, dal primo all’ultimo uomo e donna terreni, e fu percosso dalla giustizia divina al posto nostro: sulla croce, per la sua pietà e giustizia,  tutti trovammo grazia davanti al Padre, fatti figlioli adottivi per l’effusione del santo spirito. Gerusalemme è la città verso la quale siamo diretti: il paradiso, la conoscenza e visione beata di Dio.

Trovó nel tempio“. Il tempio di Cristo, dove egli vuole dimorare, è il cuore umano, secondo la Parola:

« Mia delizia è stare tra i figli dell’uomo. »

Là, dove hanno sede gli atti della ragione e le scelte della volontà che ci distinguono dagli animali il Signore desidera dunque abitare:ecco il valore della Grazia, senza la quale Dio non puó prendere dimora nel tempio della nostra coscienza perché in esso vi è il peccato.

…gente che vendeva buoi, pecore e colombe“. Il bue, sacro in oriente, è segno della mansuetudine e della pia meditazione. Infatti è proprio delle vacche il ruminare e l’espellere molto letame. Il letame fa bene alla terra, perché la nutre. La persona mite, ruminando con costanza la pastura buona della Parola divina, allieta il proprio cuore producendo letizia a vantaggio del prossimo, che, edificato, ne assorbe le virtù.

La pecora è simbolo dell’obbedienza nella fede: infatti, come la lana scalda e impreziosisce un animale di per sé debole e fragile, cosí la fede, per quanti credono nell’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, è simile a un vello lanoso che nei rigori e nelle avversità del vivere, a contatto gli uni gli altri nell’assemblea fedele, mantiene il calore della carità divina nel cuore di coloro che credono, rendendoli cosí preziosi agli occhi di Dio. Infatti, come il pastore fa guadagno sulla vendita della lana delle pecore sue, cosí il Figlio divino guadagna al regno dei cieli quelle anime di cui puó presentare al Padre le opere compiute nella fede, la quale è virtù tanto preziosa da far meritare guadagni eterni ed incommensurabili, contrariamente a tutte quelle operazioni i cui ricavi sono misurabili e transitori. Anche il giudizio appare infine simile a una tosatura, in quanto agli occhi di Dio ogni opera buona partorita nella fede viene valutata grandemente. Invece  l’anima che se ne va spoglia al giudizio, senza atti fede, simile a una pecora senza lana, non val nulla.

Il colombo infine è il simbolo della casta innocenza, ed è proprio l’immagine di chi offre sé interamente a Dio, ossia i consacrati, di cui la Vergine Maria è sommo esempio. Essi, fatti forti della propria piccolezza, in forza della propria donazione ricevono da Dio le ali con cui veleggiare e sorpassare tutte le passioni terrene; la loro dimora diventano cosí i cieli, cui rassomigliano in tutte le loro operazioni ancorché dimorino sulla terra.

Ebbene, tali animali, simboli per le virtù della paziente mitezza, della fede operosa e della semplice castità, “si vendevano nel Tempio“, erano cioé svendute in coscienza dagli uomini per inseguire scopi di guadagno: l’amore di Dio era sostituito con l’amore al profitto. Si andava così sostituendo il fine proprio dell’esistenza, che è conoscere e amare Dio, per poterlo vedere, col fine improprio, cioé il danaro, che è solo un mezzo di scambio e un fondo di valore instabile.

Afferma il Vangelo che Dio e danaro non possono essere messi al primo posto insieme: chi ama l’uno disprezzerà l’altro, e viceversa.

Quanto al danaro, poiché è mezzo per gli scambi, come tale – quale mezzo, e non fine – deve essere guardato: chi lo contempla quale fine ultimo dell’esistenza, smarrisce la vera ragione per vivere e si degrada. Sostituire il mezzo coi fini e i fini coi mezzi è infatti proprio di un intelletto guastatosi per mancanza di fede, senza cui l’intelletto non conosce Dio quale proprio fine ultimo. Allora, perdendo il suo fine proprio, la volontà disperata si attacca al transeunte, di cui danaro è somma fattispecie. Onde la Scrittura afferma:

« L’attaccamento al danaro è la radice di tutti i mali.»

Nota: dice “l’attaccamento”, ossia la volontà perversa, non il danaro in sé, che preso per se stesso è solo un mezzo, come la ruota per l’automobile.

Sull’anima indebolita dal perseguimento di uno scopo transeunte ha buon gioco il maligno, le cui opere sono tutte sottese ad allontanare ogni creatura ragionevole dal fine eterno per cui esiste. Egli tenta lo spirito umano al fine di far trascurare il comandamento della vita: mettere ogni amore per le creature sotto quello che si deve al creatore. Ora, siccome il danaro è anch’esso creatura, non lo si deve cercare che secondo ragione e carità, avendolo in misurata considerazione per le proprie necessità e per quelle altrui, sottomettendolo in ogni caso – senza anteporlo – all’amore per il Creatore. Dio infatti, che è Logos, cioè ragione, ha disposto che per tutte le creature ragionevoli i beni creati, fra cui è il danaro, siano cercati con ragionevolezza. La virtù che presiede a temperare la passione per i beni creati è appunto la temperanza: per essa possiamo cercare il danaro con quella morigeratezza che non offende la nostra celeste dignità. La temperanza è poi il fiore di una condotta casta.

“…e (trovó) i cambiavalute seduti al banco. Gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi”. Come visto, guastandosi l’intelletto, per l’attaccamento disordinato ai beni creati il volere umano si infiacchisce. Perdendo il riferimento ultimo le mancano le virtù principali che sole la rendono forte e robusta, ossia la fede operosa nella carità del prossimo e la speranza della vita eterna. Alla persona infragilita nelle proprie potenze interiori, capace cioé di valutare  solo gli orizzonti immanenti, la seduzione prospetta quale fine ultimo quelli intermedi, quali il commercio, il lavoro, il sostentamento, l’attività fisica e il piacere e l’onore che da questi deriva.

Il fine per cui esistiamo tuttavia è vedere Dio, come detto, e il mezzo proporzionato per realizzarlo è condurre una vita aperta alla divina grazia: essa soltanto infatti permette di realizzare la felicità, in terra come in cielo. Un uomo e una donna sono pienamente realizzati solo in quanto perfettamente felici: solo la visione di Dio dona stabilmente tale possesso. Infatti, a causa della aleatorietà di tutte le cose che si trovano nell’ordine temporale, che sono caduche, la felicità piena e stabile la possiamo cercare e ricevere da parte di Colui che è eterno e pienamente felice. Pertanto, anteporre un fine altro da Dio quale traguardo ultimo è premessa di certa infelicità, in terra come in cielo. In terra perché il raggiungimento di qualunque traguardo nell’ordine del tempo, a causa dell’instabilità della vita presente e della necessità del morire, non è altro che l’inizio e presa di coscienza della caducità di tutte le cose che non sono Dio, il solo che possa ricapitolare le realtà create in sé stesso, facendole da instabili e corruttibili, eterne e stabili. Ed anzi, quanto più sforzo si è profuso tramite il lavoro in vista di un traguardo intermedio, quanto più questo causerà infelicità proporzionalmente alla fatica e all’ampiezza del traguardo raggiunto, nella considerazione del necessario distacco o venir meno della cosa raggiunta. In cielo, perché la persona che con sommo dolore ha lasciato in terra tutto ció che aveva faticosamente raggiunto, troverà poi di fronte a sé il giudizio severo riservato a coloro che non hanno alcun possedimento in cielo, e condannati, si trovano privati anche di quel poco che hanno:

«A chi ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza. Ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.»

Una volta comprese tali cose, possiamo tornare al commento della Scrittura, nelle cui immagini il vangelo rivolge un messaggio assai significativo al “tempo dei mercanti”.

Commerciare nel tempio, alla luce delle cose dette, significa infatti rendere sacro il fine del commercio, cioé fare del profitto il fine ultimo della vita individuale e sociale.

Ma se, come visto, il fine ultimo della vita umana è la pienezza e stabilità della felicità, garantite da Dio solo; se, al contrario, il fine dell’impresa e del commercio è invece realizzare il massimo profitto, in vista del quale mezzo proporzionato è la vendita dei beni commerciati: come si conciliano le due finalità? Ordinandole secondo la ragione, che temperata dal lume della fede valuta e conosce ogni finalità commerciale quale finalità intermedia, proporzionata all’acquisto di un certo benessere temporale, ma del tutto incapace di procurare la felicità interiore, stabile traboccante e imperitura, che Dio solo possiede e dona.

Tuttavia, per le ragioni più sopra esposte,tesi per passione ad attaccarci alle nostre operazioni, per noi uomini non è facile equilibrare nella propria condotta di vita il perseguimento del fine ultimo con quelli intermedi, tanto più laddove il fine ultimo (Dio) venga negato per la piena ed esclusiva dedizione a un fine intermedio (il profitto): da questa debolezza, invero, prende forza la tentazione, che suggerisce allo spirito umano di prendere a norma abituale (la considerazione del danaro) ció che, a ben vedere, si compie quale graduale e radicale allontanamento personale dalla felicità che possiamo fissare in Dio solo, cui consegue la perdita di quanto è più prezioso: la salute spirituale, intesa come gioia di vivere e potenza d’amare.

L’oblio del fine ultimo, nel puro conseguimento dell’intermedio, soffoca la disponibilità dello spirito umano alla grazia divina.

Senza l’opera di “sentinella” della grazia divina, in uno spirito sprovvistosi delle virtù gradite a Dio si sostituiscono allora le “virtù” proprie del commerciante: al posto della mansuetudine, purezza e fedeltà di vita cresce la scaltrezza, il calcolo e la propensione agli affari. Queste ultime, beninteso, sono funzionali agli obbiettivi del profitto, ma se coltivate per se stesse e senza riguardo al fine proprio della virtù in sé, che è l’uniformarsi a Dio, determinano una indisponibilità alla conversione interiore. Secondo la Parola:

« Chi amerà un padrone, disprezzerà l’altro. »

Laddove il settimo giorno venga poi trascurato, la confessione dei peccati ignorata, tutta la vita si conforma sempre più radicalmente allo spirito del mondo più che non allo Spirito Santo che ci ha creati, onde diventiamo assai abili a perseguire gli interessi patrimoniali, talvolta economicamente benestanti, ma al contempo molto infelici.

La felicità infatti, nel tempo e per l’eternità, è un dono da accogliere con cuore grato e un amore umile da parte di Dio Altissimo, che la dona a chi osserva i suoi comandamenti. Il benessere invece, che è appagamento temporale, non dona felicità, perché il nostro spirito si nutre di ció che solo è infinito, perfetto e pienamente appagante.

Altro il benessere, altra la felicità. Non peraltro strettamente interdipendenti, come esposto nel precedente intervento.

Per concludere: il Signore porta fuori dal Tempio coloro che fanno del commercio il fine ultimo non solo per se stessi, ma finanche per i popoli che guidano e sono chiamati ad amministrare con sapienza; non solo: Egli getta anche a terra il danaro dei cambiavalute e ne rovescia i banchi.

Questo è un segno per il nostro tempo.

Quanto di iniquo vi è nella creazione ed emissione della moneta da parte delle banche centrali, quanto di ambiguo v’é fra i metodi di arricchimento sui mercati finanziari, quanto di stolto si è concretizzato e legalizzato a livello globale, simile solo ad un’ ultima fra le babeliche tentazioni accolte dalla cecità umana, tutto quanto, più in generale, è disposto per l’avido accumulo e dominio della carne del prossimo, nello sradicamento dalla volontà del Padre: tutto questo – è Parola del Signore – verrà lasciato fuori dal Tempio. Tutto questo è già stato giudicato e sta per essere rovesciato.

Il Tempio, da che la Parola si è fatta carne, è l’ uomo che è Dio. Il Tempio è l’uomo in Dio: Gesù Cristo. In Cristo, gli eccessi operati dalla civiltà del commercio, verranno temperati dalla civiltà dell’amore divino. E gli uomini e le donne, e i loro governi, guardando a Lui, torneranno a vivere secondo giustizia e carità. La felicità scorrerà allora abbondante sulla terra come un fiume, perché il Padre sarà nei figli e i figli nel Padre. Amen

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