«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Agenda programmatica il 17 settembre 2020

di Giovanni Traverso

Proposta di pianificazione territoriale per l’utilizzo e la riqualificazione di porzioni abbandonate di terreno in proprietà pubbliche e private, ai fini di promozione del lavoro e altri scopi di utilità sociale

Riassunto – La seguente lettera è la fresca traccia di recapito di una proposta in merito ai temi di cui al titolo in oggetto, indirizzata da un privato cittadino di Genova a due assessori del Comune cittadino, delegati alla riqualificazione delle aree verdi, gestione patrimoniale, trasporti e nuove opere. La medesima missiva, altresì recapitata anche all’Arcivescovo della città di Genova, viene pubblicata nella speranza di suscitare un dibattito inerenti ai temi in oggetto: la necessità di collaborazione fra le pubbliche istituzioni, ossia della diocesi e delle amministrazioni cittadine, per conseguire politiche di incremento occupazionale tramite il coinvolgimento dei proprietari di terre incolte, al fine di un coordinato utilizzo delle stesse per scopi di produzione locale, integrazione dei flussi migratori e occupazione giovanile.

Spett.li assessori, Sua eccellenza,

vi scrive un privato cittadino, laureato in lettere classiche, laureando in giurisprudenza, residente a Genova, padre di famiglia e sposato.

La coscienza di poter arrecare un momento di disturbo verso il disbrigo dei vostri numerosi offici, è stata superata dal desiderio di compartecipare ad organi incaricati di servire il pubblico l’idea di un progetto, quello per cui ardisco scrivere alla vostra attenzione, prendendo spunto dalla notizia di cronaca che mi ha mosso a farlo.

Su Bussola Culturale, uno spazio di condivisione di articoli d’ispirazione cristiano-sociale, oggi, giovedì 19 settembre 2020, si legge che:
“L’amministrazione della città di Nantes, in Francia, ha deciso di fornire i frutti dell’orto gratuitamente alle famiglie della città colpite dalla crisi economica e sociale legata a Covid-19, e così che negli ultimi giorni dozzine di piante di zucchine sono apparse nei fossati del castello o gli orti più disparati sono stati stabiliti lungo la Pablo-Picasso.

Saranno 50 gli orti seminati in tutta la città, 10mila le piante vegetali che i giardinieri comunali e 25 le tonnellate di ortaggi da distribuire gratuitamente alle persone in difficoltà. Con questi orti l’amministrazione spera di coltivare circa 25 tonnellate di ortaggi entro l’autunno.”

L’esempio offerto dall’amministrazione comunale di Nantes, dove le difficoltà economiche riscontrate e diffuse non sono dissimili da quelle dei cittadini genovesi e degli stranieri, possono muoverci verso la creazione e coordinazione di qualche opera simile? Non esistono nel genovese numerosi appezzamenti abbandonati all’incoltura dai loro proprietari, terreni che con un po’ di organizzazione e industria potrebbero diventare luogo di incontro del bisogno di lavorare di un nucleo eterogeneo di persone e delle loro competenze? La natura, invero, ha dato lavoro a generazioni di uomini e donne lungo l’arco di millenni: cosa impedisce di pensare che non possa farlo anche oggi?

Il ragionamento alla base della proposta si pone dunque sulla base di alcuni scarni dati di fatto, onde in questa lettera non produrrò statistiche o altri confronti di tipo analitico, persuaso che in prima battuta ad essi possono sopperire una sufficiente dose di evidenze, quali quelle che vengono offerte alla comune esperienza dai fatti noti della quotidianità; alle quali osservazioni mi limiterò ad aggiungere ed unire il filo di una retta intenzione, a lungo coltivata nella direzione del progetto che ora sto per esporvi per sommi capi.

I tre dati offerti alla comune esperienza sono i seguenti:

1) la presenza in città di un flusso continuo di presenza migratoria non ancora palpabilmente orientata verso percorsi d’integrazione e utilità pubblica, e inseritasi piuttosto -quasi per abbandono e disadattamento- in dinamiche di sfruttamento a vario titolo (prostituzione, accattonaggio, sfruttamento della manodopera, traffico di stupefacenti);
2) l’attuale consistenza di un’ingente porzione di terreni incolti e abbandonati di proprietà della Diocesi genovese, del Comune di Genova e dei limitrofi, nonché di numerosi privati avanti con gli anni, i quali, per mancanza di forza o per inerzia, non potendosene o non volendosene direttamente o indirettamente occupare, di fatto se ne disinteressano, lasciandoli in stato di abbandono;
3) le oggettive difficoltà di avviamento al lavoro in cui si trovano molti ragazzi, al compimento del percorso di studi dell’obbligo o universitari, a causa dell’impoverimento generale del tessuto economico nazionale, vieppiù aggravatosi anche a seguito della nota situazione emergenziale.

La presente proposta, sulla base dei tre dati di cui sopra, ha l’obbiettivo di stimolare l’amministrazione cittadina, in coordinamento con la diocesi genovese e dei proprietari terrieri eventualmente disponibili, ad adoperarsi verso l’istituzione di percorsi di lavoro agricolo, nell’ottica d’integrazione sociale e lavorativa in vista del futuro commercio al pubblico dei prodotti dell’agricoltura, in quanto ricavabili tramite la sottrazione al degrado di ampie porzioni di terreno a fasce, demaniali o di privata proprietà, affinché con il consenso dei loro proprietari, siano essi personalità giuridiche pubbliche o privati, tali fondi possano essere adibiti a orti pubblici, dove l’offerta di lavoro e la domanda di beni primari dell’alimentazione (olio, ortaggi e frutta) possono incontrarsi e dare avvio ad un iter di crescita socio-economica per la città, con sguardo alle situazioni di maggiore bisogno.

Quanto al primo dato, ossia l’immigrazione non controllata e non direzionata, è possibile a chiunque notare come per le strade di Genova si sia moltiplicata nel corso degli ultimi anni la presenza diffusa di africani che, quale che sia la ragione sottostante, ricorrono all’elemosina, appostandosi al margine dei negozi. La loro condizione è penosa e di peso non solo a sé stessi, evidentemente, ma anche agli occhi di genovesi, molti dei quali appaiono stanchi di essere avvicinati da richieste di danaro, di cui non condividono spirito e modalità, talvolta per trovarsi essi stessi in condizioni economiche esasperanti. Peraltro, sentendo le ragioni di taluni, è possibile rendersi conto di quanto essi non soffrano tanto la fame o la penuria di beni materiali (molti, anche questo), ma piuttosto la pena di essere tenuti, qual che ne sia la ragione, ai margini delle normali condizioni di vita, lavoro ed inclusione sociale.

Quanto al secondo dato, ovvero la presenza di molti terreni incolti e abbandonati, essendo i proprietari solitamente occupati dietro altre attività, ed essendo storicamente venuta progressivamente a mancare a seguito di un graduale processo di urbanizzazione del lavoro, delle abitudini di vita e dei consumi, l’offerta di lavoro di braccianti dediti alla coltivazione dei campi, nonché le soluzioni di mezzadria che vedevano coinvolte soprattutto le popolazioni locali dei contadini italiani, si può osservare sotto un duplice aspetto quale sia il panorama desolante offerto dai meccanismi di sfruttamento della terra e del lavoro presenti oggi: ovvero, come da una parte, in molte parti d’Italia, i latifondi destinati alla coltura intensiva, siano di fatto resi produttivi per mezzo dello sfruttamento di molti africani e stranieri, che vengono reclutati, mediante caporalato, da imprenditori senza scrupoli e sottoposti a condizioni di lavoro degradanti per misere paghe; onde, il proprietario che non intendesse piegarsi a tanta malizia, soccomberebbe dal punta di vista della competizione; laddove invece intendesse competere ad armi pari, potrebbe farlo solo tramite gravi compromessi in coscienza; dall’altra, si può osservare che le iniziative di promozione al lavoro e all’integrazione sono ancore poche, perché affidate per lo più alla buona volontà, ma anche all’esile capacità organizzativa di piccole associazioni senza scopo di lucro disseminate sul territorio nazionale, anche queste talora per scopi solo apparentemente lodevoli. Laddove, invece, fosse la pubblica amministrazione ad interessarsi di interpellare i proprietari circa la possibilità d’uso dei terreni per coordinare una vasta opera di bonificazione e coltivazione, ne scaturirebbero frutti vantaggiosi per molti:
– per i proprietari disposti al comodato dei terreni, in cambio dello sfruttamento a titolo gratuito dei quali ne ricaverebbero la manutenzione, a titolo altrettanto gratuito, ovvero il loro riordino per scopi produttivi, con conseguente incremento del loro valore di mercato, ciò in quanto il recupero dei propri terreni incolti grazie alla forza lavoro ivi operante costituirebbe per essi il guadagno rappresentato dalla gratuità dei costi di manutenzione, che essi normalmente non sono disposti a pagare: altrimenti i loro terreni non resterebbero incolti. Inoltre, l’amministrazione comunale potrebbe statuire in favore di tali proprietari benefici fiscali sugli importi delle rendite fondiarie spettanti, con ciò disponendoli ad un loro più pronto coinvolgimento e affidamento dei loro terreni incolti all’ottica di un recupero e utilizzo conforme al principio della destinazione universale dei beni.
– per i lavoratori agricoli, operanti sui terreni concessi in comodato e costituentisi in una delle forme associative e/o mutualistiche previste dal diritto interno, i quali sulla base del loro impegno potranno raccogliere (è il caso di dirlo) i frutti del loro seminato, devolvendo i loro prodotti alle società agricole del territorio -o costituirne essi stessi, adeguatamente supportati-, col fine di rivendere i prodotti stessi o trasformati nei mercati rionali o tramite gli ambulanti, nonché tramite i negozianti al dettaglio ovvero tramite commercio e acquisti ordinati sulla rete informatica, o ancora dietro compenso pubblico per l’elargizione di pubbliche mense per i poveri o, ancora, per sostenere e incrementare la qualità dell’approvvigionamento dei refettori degli istituti scolastici del territorio. A questo proposito è bene ricordare che la domanda di alimenti è sempre più attenta alla provenienza degli stessi, e vengono sempre preferiti prodotti locali, coltivati secondo tecniche naturali, rispetto a quelli provenienti da altre parti del mondo, del cui processo di coltura si diffida. Questa tendenza dei consumi, difficile da negare, specialmente nei costumi nostra popolazione, dovrebbe incentivare il recupero di forme di approvvigionamento dei prodotti dell’agricoltura, per quanto e più possibile, reperibili dall’offerta dei coltivatori diretti localizzati intorno al territorio di destinazione per il consumo. Onde, anche a tale riguardo, la proposta si situa nel bacino d’incontro di un’effettiva domanda (di alimenti naturali e cd. a “Km 0”) e di un’effettiva carenza d’offerta, a fronte dell’ampia possibilità di coinvolgimento di soggetti e beni, pubblici e privati, attivabili in tal senso.
– un accenno incidentale, infine, va fatto -da un punto di vista di salubrità sociale- ai benefici delle vite sottratte alla criminilità, all’ozio, alla disoccupazione che un’opera simile stimolerebbe. Quanti giovani italiani e stranieri finiscono in strade senza sbocchi, perché nessuno li chiama e interpella! Naturalmente, il vantaggio del loro impegno, ricadrebbe positivamente su tutta la cittadinanza: uno spacciatore sottratto alla strada, un mendicante sottratto all’appostamento quotidiano, uno studente che non trova lavoro sottratto alla disoccupazione, non è un aiuto e un respiro di sollievo per tutta la città?

Venendo al terzo ed ultimo dato, che riguarda appunto il clima di disoccupazione giovanile, esso già si respirava, ma ora diventerà ancora più penoso a seguito della necessità dei datori di lavoro del settore privato di effettuare tagli in tal senso, a causa dei noti rischi d’impresa incrementatisi a seguito delle misure emergenziali disposte a livello nazionale, chissà per quanto ancora. Ciò dovrebbe sospingere le istituzioni locali verso una maggiore condivisione degli obbiettivi occupazionali. In effetti, ogni anno numerosi sono i ragazzi pronti a ricoprire posizioni di responsabilità: ma la loro disponibilità si scontra con un’evidenza di fatto: nessuno li chiama; nessuno li cerca; nessuno sembra aver, per loro, tempo e bisogno. Per quest’opera, invece, essi saranno necessari al fine di assumerli ad anello di giuntura qualificato per il coordinamento fra le amministrazioni, i proprietari terrieri, i braccianti lavoratori; ciò sapranno fare con spirito di servizio proprio tramite il titolo di studio che al termine del rispettivo ciclo essi hanno conseguito non col fine di oziare, ma col fine di mettersi a servizio della società che li cerca e ne ha bisogno. La loro forza vitale è tanto più preziosa e utile, quanto poco interpellata dal mondo adulto, che ha la tendenza ad occupare se stesso anziché gli altri, trattenendo per sé i ruoli e le posizioni migliori. Ma ciò è sbagliato e contro natura. Chi è anziano, invero, dovrebbe imparare a trasmettere il senso della responsabilità non con le parole e i moniti, ma attribuendo incarichi di responsabilità a chi deve ancora farsi strada nella vita, accompagnandolo. Ciò, in concreto, significa che l’operazione del coordinamento esecutivo di quest’opera ha nella disponibilità al lavoro di tanti giovani il suo cuore: sia al livello del trasporto dei braccianti sul luogo di lavoro (non vi sono molti giovani disoccupati perlomeno dotati di diploma e patente di guida?), sia per quanto riguarda il loro inquadramento contrattuale appropriato (non vi sono giovani legali pronti a studiare il miglior modo di disporre i contratti e i vincoli?), sia per ciò che concerne le migliori condizioni di utilizzo e sfruttamento dei terreni (periti agrari freschi di diploma o laurea), lo smercio dei prodotti (giovani economisti), l’organizzazione del calendario dei lavori; ed insomma, tutti quegli aspetti che un’opera simile richiede, quanto alle varie e diversificate competenze che necessita, dovrà essere affidato a una squadra di giovani freschi di diploma o laurea, col supporto -non la direzione- di pochi e qualificati esperti, dotati della necessaria esperienza. Tutto ciò permetterà quella condivisione di responsabilità inter-generazionale che normalmente è stravolta o funziona all’incontrario. Quanto alle modalità di far rientrare a bilancio i costi dell’operazione, attribuendo a ciascuno il suo compenso, dovendo tener conto dei molti fattori in gioco e comunque dei vari capitoli di spesa necessari all’avvio dell’operazione, anche tutto questo, con il supporto delle amministrazioni comunali di bilancio, potrà essere discusso e intavolato attraverso una preliminare attribuzione d’incarichi in capo a giovani qualificati, come, a titolo di esempio, laureati nel ramo del gestionale d’azienda, capaci di tradurre in progetto i dettagli della concretizzazione dell’idea.

Riassumendo, tramite la collaborazione fra Comune, Diocesi e privati, con questa vasta operazione di sicuro respiro e utilità sociale si darà un inquadramento lavorativo ad ampie fasce di emarginazione presenti nel tessuto della vita cittadina; l’opera e il coinvolgimento diretto e apprezzabile di queste persone, opererà un beneficio non trascurabile dei beni in capo ai proprietari, pubblici e privati, dei terreni coinvolti nell’operazione; infine, si permetterà a nuove leve di inserirsi nelle dinamiche dell’impegno, del lavoro e della serietà e delle scadenze che un’operazione di rilancio dell’economia agricola locale saprà senz’altro riservare ai suoi “dipendenti”, ovviamente cominciando dall’opportunità di inserire molti fra loro, usciti dagli istituti tecnici agrari e dalle università, in un’opera che offrirà loro la possibilità di misurarsi in un concreto progetto di vita e lavoro.

Tutto ciò, e per concludere, darà lustro all’amministrazione pubblica per lasciar nei cittadini l’impressione di un buon governo che amministra la città sotto il profilo di un incremento delle attività occupazionali, nonché per l’interessamento e la cura sociale delle sue fasce più precarie e deboli; del pari, la diocesi, ne ricaverà una volta di più il merito di sapersi sempre adoperare per il bene effettivo di molti, non solo grazie ai suoi utili consigli e tesori spirituali, ma anche per la possibilità offerta ai cittadini infra ed extra comunitari di lavorare con i beni di cui dispone e amministra nel solco dei principi che professa, ovvero nel vincolo della destinazione universale dei suoi beni.

Nella speranza di aver proposto il barlume di un’idea progettuale utile per la città, e rimettendo alla vostra competenza ogni possibile ulteriore interessamento e sviluppo di questa povera bozza, porgo

distinti saluti,

(firma)

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