«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Costituzione italiana il 14 aprile 2017

di Giovanni Traverso

Sovranità popolare – Funzioni, opportunità e limiti

Riassunto – Articolo diviso in due parti. Nella prima ci si domanda in cosa consista la sovranità conferita alla popolazione italiana dalla legge costituente del 1948; definizioni e limiti di essa alla luce dell’ articolo 1° della costituzione italiana. Nella seconda ci si interroga sulle opportunità della sovranità conferita, ossia quella di rappresentanza, e s’essa implichi per se stessa il rigetto della sovranità di Dio sul reale.

Nell’ inaugurare con un primo intervento questo laboratorio politico cattolico, il venerdì della passione di nostro Signore Gesù Cristo nell’ anno 2017mo dopo la sua incarnazione, desidero focalizzarmi sull’ articolo primo della costituzione della repubblica italiana:

« L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione »

Osserviamo l’ enunciato: esso racchiude in sintesi la “nuova carta d’ identità” della popolazione italiana, dopo la stagione della dittatura fascista (1922-1943 circa).

La parola repubblica significa “cosa pubblica”; l’ aggettivo democratica significa “potere della popolazione”; viene stabilito a fondamento della cosa pubblica, il cui potere sovrano è conferito al popolo, il lavoro.

Abbiamo qui i tre elementi che identificano la nuova identità: repubblica, conferimento delle funzioni sovrane alla popolazione, lavoro quale fondamento.

In quest’ articolo ci limitiamo a fissare lo sguardo sul secondo elemento, ossia sulla funzione sovrana conferitaci.

Con la parola “repubblica”, per mezzo del referendum, gli italiani dopo il 1946 siglano la parola fine sull’ istituzione monarchica. L’ opzione si contestualizza e concretizza dopo una prova di viltà da parte della casa allora regnante: la dinastia sabauda, l’ ultima a ereditare in territorio italiano funzioni e caratteristiche vicine a quelle di governo, dà cattiva prova di sè durante la seconda guerra, con la fuga di fronte allo smarrimento degli italiani, a seguito dei fatti dell’ 8 settembre 1943. Finita la guerra, al momento del voto referendario, la popolazione non dimentica e commina l’ esilio. L’ Italia, da regno, si trasforma in repubblica.

I poteri del re, in realtà, da tempo non costituivano più un cruccio dei ministri per il governo dei cittadini: la sua funzione, di fatto era molto limitata. Possiamo dire che egli avesse una funzione non troppo lontana da quella che possiamo osservare oggi nelle dinastie nord-europee: una funzione di rappresentanza. Teniamola presente questa funzione, ci dobbiamo tornare in seguito.

Dopo l’ unificazione d’ Italia, e la nascita del Regno d’ Italia, operata con l’ appoggio finanziario e politico della casa sabauda, a regolare la vita politica del nuovo stato era il parlamento.

Anche dopo l’ istituzione della repubblica il parlamento è il cuore del potere legislativo.

Dunque dopo il 1946 viene votata da parte degli italiani una formale trasformazione della rappresentanza attraverso la quale il potere viene gestito ed esercitato: se prima era il Re ad incaricare i ministri, o il Duce nel ventennio della dittatura, ora sarà il Presidente della repubblica per conto del popolo italiano.

Trasformazione sì dunque,  ma non sostanziale: il re viene esiliato e il parlamento rafforzato, ma l’ esercizio del potere resta in mano a coloro che lo avevano anche prima: ministri di governo, giudici e polizia.

Che cosa è cambiato, dunque? Quale novità viene introdotta nella vita dei singoli italiani?

Se i ministri, prima, officiavano i loro compiti di governo in rappresentanza del Re o del “duce”, ora che questi è morto e il primo viene esiliato per volontà popolare, a chi si dovrà attribuire il ruolo di rappresentato quanto al potere che i ministri esercitano?

Si elaborano così le figure del presidente della repubblica e della popolazione quali soggetti politici, a cui sono cedute, differenziandole, le funzioni di rappresentanza che prima erano del monarca.

Il secondo enunciato dell’ articolo sembra confermare il nostro ragionamento:

« ( … ) la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione »

Dunque il potere che prima era del re è ora conferito alla popolazione.

Ma di quale tipo di potere regio si tratta? A quale tipo di sovranità si allude in questo enunciato?

Ci si riferisce forse a una sovranità assoluta, data al popolo e non soggetta ai limiti di legge (ab legibus soluta) ?

Se così fosse, non si enuncerebbero subito dopo “i limiti e le forme” sopra d’ essa imposte dai padri costituenti.

Ma allora, a quale tipo di sovranità limitata si pensa alla scrittura dell’ articolo primo?

Per comprenderlo, dobbiamo fare un breve accenno all’ evoluzione dell’ istituto monarchico.

Sappiamo che in origine, il re assumeva in se stesso la triplice funzione di dare la legge alla popolazione, di farla eseguire per mezzo del suo apparato di ministri e servitori, e di farla rispettare, in caso di non osservanza, per mezzo delle sue guardie e funzionari di giustizia vari.

La monarchia costituzionale in vigore dal 1861 al 1946, si fondava ancora su questo presupposto, benchè temperato: al vertice dello Stato vi era il re, il quale riassumeva in sé i tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Questo accentramento dei poteri nelle mani del monarca si è infatti nel corso della storia europea sciolto e distribuito. La nascita in Inghilterra dei Parlamenti e le successive elaborazioni a imitazione di quella, dopo molti secoli e spargimento di sangue hanno apportato alle costituzioni di governo la separazione degli organi di potere, un fatto oggi più o meno acquisito laddove vigono ordinamenti democratici.

Ora, guardando alla vita politica della repubblica in cui viviamo, quale di queste funzioni è esercitata direttamente dalla popolazione?

Il potere di fare le leggi è conferito al parlamento; quello di giudicarne l’ inosservanza alla magistratura; quello di farle osservare alla polizia. Dunque, nessuno dei tre poteri è dato alla popolazione.

(Si capisce come mai, fra l’ altro, il tentativo di quella forza politica che oggi sembra andare per la maggiore, la quale si propone di estendere l’ esercizio del potere legislativo direttamente in mano della popolazione, tramite l’ evoluzione tecnologica in atto, sia giudicato da alcuni sovversivo, e da altri rivoluzionario. In quanto ogni modifica di questo potere, per quanto proposta con le migliori intenzioni, dovrà per forza passare per un cambiamento costituzionale radicale, se non vorrà porsi al di fuori dei limiti propri di quell’ arco: la popolazione infatti, allo stato attuale delle leggi della repubblica, ha ereditato solo la funzione di poter indicare i suoi rappresentanti, tramite voto, non già quella di elaborare per proprio conto e direttamente le proprie leggi).

Resta però un quarto potere: quello di farsi rappresentare. Proprio quello che è stato trasferito dal monarca al popolo nel passaggio dalla monarchia costituzionale – dopo la parentesi della dittatura – alla fondazione repubblicana. Il potere di rappresentanza, che consiste nel potere (e dovere), dato al re ed ora alla popolazione, di farsi rappresentare da altri non è poi altro che il potere di eleggere dei rappresentanti. E’ il potere di voto: l’ unico reale potere conferito dalla legge alla popolazione italiana, secondo la carta costituzionale.

Ed è lecito domandarsi a questo punto: qualora i rappresentanti eletti mostrino indegnità, di chi sarà la responsabilità? Di coloro che li eleggono, o di coloro che, dopo essersi fatti eleggere, tradiscono eventualmente il mandato elettorale? Anche di questo ci dovremo occupare.

Ma torniamo al nostro ragionamento.

Dal 1948, in Italia, viene attribuito un potere e una funzione che costituisce una novità della storia per la popolazione italiana, la quale prima aveva solo, per così dire, il potere di ubbidire alla legge che il monarca e l’ autorità ecclesiastica imponevano.

Quello stesso potere però, essendo al contempo lo svuotamento di un potere tolto a chi originariamente avocava a sè la triplice funzione di governo, ossia il re, nella logica dei padri costituenti andava conferito e caratterizzato dei suoi limiti propri: ossia quelli imposti per l’ appunto entro “i limiti e le forme” della legge costituente. Varrà dunque la pena interrogarsi, nei nostri futuri studi, su quali siano questi limiti e quali siano queste forme.

Quello che fin da ora comprendiamo è che la sovranità popolare cui per legge siamo obbligati, concerne lo stretto ambito del potere di rappresentanza.

Ma che cosa significa questo per noi cittadini? Perchè è tanto importante esplorare limiti e funzioni della nostra sovranità di rappresentanza?

Perchè essa ad un tempo ci assegna e circoscrive i limiti e le opportunità d’ azione in quanto popolazione.

Quanto ai limiti, la sovranità che ci è stata conferita, in quanto non comporta un’ autonomia di fronte alle leggi umane e positive, tanto meno comporta un’ autonomia dalle leggi divine e immutabili, quelle cui siamo obbligati in quanto redenti dal sangue di Gesù Cristo e battezzati nello Spirito d’ adozione inviatoci dal Padre.

Quanto alle opportunità, cioè ai diritti e doveri ad essa legati: pure in conseguenza della potestà ricevuta, tutta la capacità di bene o di male che come popolazione riceviamo da parte dei nostri Governanti, la riceviamo e riceveremo sempre, e fintanto che le leggi costituenti saranno in vigore, dalla nostra capacità di eleggerci rappresentanti degni e capaci di fare il nostro bene – o il nostro male!

E’ infatti la nostra vocazione di popolo, interpellata dalla legge costituzionale a pronunciarsi circa quel ruolo così decisivo che è l’ elezione dei nostri rappresentanti.

Se questo è vero, la nostra vocazione civica, ordinata all’ elezione di degni rappresentanti, riceverà grande vantaggio nel volersi acuire e dotare di tutti quegli strumenti necessari a far sì che la nostra scelta sia il più possibile orientata alle persone giuste, quelle che concorreranno a realizzare con maggiore probabilità il nostro bene.

Ma come esercitare il nostro giudizio? Come imparare a distinguere il bene da ciò che è solo la sua apparenza?

Dove troveremo, altresì, gli strumenti in grado di permetterci di discernere fra il bene e il male, il giusto e l’ ingiusto, la destra dalla sinistra? Chi darà alla popolazione italiana gli strumenti della prudenza?

Dalla preghiera, Dio fa sorgere lo spirito di cui abbiamo bisogno:

« Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza;
implorai e venne in me lo spirito della sapienza. »

Libro della Sapienza, capitolo 7°, versetto 7 

Ebbene, questo laboratorio nasce con un’ idea di fondo al riguardo: la conoscenza del bene e del male, l’ esercizio della prudenza sono i frutti che solo la sapienza divina, per mezzo della cooperazione umana nel cammino di grazia, sa comunicare alle nostre persone. Più persone affinano la propria capacità di scelta, più la popolazione ha possibilità di concorrere all’ elezione di buoni governanti.

Ecco perciò esplicata la ragione a servizio della quale questa piattaforma nasce: fornire alla cittadinanza strumenti di partecipazione alla vita politica collaudati e confermati dalla bontà di chi li mette a disposizione, per affinare il nostro giudizio a partire dalla vita di grazia.

Tali strumenti sono la parola di Dio, che purifica ed orienta il nostro cuore a Cristo. Il magistero della chiesa, che ci assicura da ogni deviazione del cammino. La dottrina sociale, che salda l’ insegnamento evangelico al servizio della comunità politica.

Proponiamo degli strumenti per un cammino di formazione politica da fare in comune, un passo alla volta, con umiltà, fermezza e concordia d’ animi.

Sembra infatti che qualunque possibilità di modificare il nostro futuro, ossia di provvedere il più opportunamente possibile a far sì che coloro che saranno i rappresentanti dei nostri figli e nipoti siano persone che ci governano bene, non consista nel saltare di pie’ pari la mediazione fra cittadini e governo cui la Costituzione ci obbliga: questo sarebbe contrario alle leggi consegnateci dai nostri padri, sulle quali la nostra coabitazione al momento si fonda.

La sfida consiste piuttosto nel far propri quegli strumenti che la divina provvidenza ha permesso che entrassero a far parte del patrimonio del nostro popolo, cosicchè affinando ed orientando al vero bene il nostro potere di elezione, sfruttando ogni risorsa possibile di cui disponiamo in ordine alla nostra felicità – impariamo tutti insieme, e aiutandoci fraternamente gli uni gli altri, a sceglierci governanti degni e saggi, dotati cioè di tutte quelle virtù che assicureranno il loro buon governo.

Solo scegliendoci persone virtuose, prudenti, oneste, amanti di Dio nell’  esercizio pubblico e concreto della carità del prossimo loro, possiamo sperare di essere governati con giustizia e assicurati alla concordia civile.

Chi più di queste persone illuminate dalla grazia di Dio, infatti, potrebbero rappresentare al meglio la nostra sete di giustizia di fronte alle così gravi minacce che appesantiscono e amareggiano la nostra vita quotidiana?

Chi potrà meglio rappresentare i nostri interessi, se non chi non ha alcun interesse personale a guidarci?

Come pensare di consegnare il voto della cittadinanza a persone troppo ambiziose per saper fare gli interessi comuni, troppo deboli per resistere alle pressioni dei gruppi di interesse più forti, troppo spaesati e sradicati dalla via della giustizia, per poter concretamente offrire un santo cammino alla nostra nazione?

La nostra felicità dipende insomma da coloro che ci eleggeremo come governanti: e Dio voglia che essi siano i suoi amici, gli amici dell’ uomo. Da costoro, ovunque essi si trovino, siamo certi che dipenda il nostro futuro di bene o di male, e in sostanza, la nostra felicità d’ italiani.

La nostra felicità infatti non è disgiunta dalla ricerca del nostro vero bene, come il catechismo c’ insegna citando i santi di Dio:

1809 « Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la temperanza) un amore totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere dall’astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza) ». 

Come cattolici, possiamo fare moltissimo confermando i nostri principi e agendo entro i limiti imposti di quella carta costituzionale, che rappresenta l’ autorità civile voluta e permessa da Dio sopra i nostri tempi.

Inserendoci in quella come cristiani e figli di Dio, obbediremo infatti perfettamente al comando divino che ci è stato dato:

« Date a Cesare quel che è Cesare, e a Dio quello che è di Dio. »

Certo, molti cristiani, o perlomeno i più infuocati d’ amore divino, vorrebbero in cuor loro che il primo articolo della repubblica italiana dicesse: “L’ Italia è una repubblica cristiana fondata sull’ amore di Dio e del prossimo, e Cristo, pietra angolare del mondo, è il re degli italiani”. Vorrebbero veder realizzata su questa terra la città celeste e il suo re a guidarla. Ciò, se non per grazia e intervento divino, è però impossibile a noi realizzarlo.

Ma fintanto che siamo peregrini nel mondo, in attesa di entrare nel giudizio di Dio e conoscere il nostro destino eterno, dovremo sempre fare i conti con le differenze fra la storia che il nostro cuore ci detta e si augura, e quella che, realmente nelle mani di Dio, ci si presenta davanti agli occhi.

Questo laboratorio nasce dunque con un tale intento: cercare di ragionare sulle cose presenti con spirito di fede, in servizio alla comunità politica in cui siamo chiamati ad operare, nella misura in cui le sue leggi ce lo consentano.


Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

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