«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Questioni di diritto il 6 maggio 2017

di Giovanni Traverso

Sulla precedenza del diritto: osservazioni, definizioni e problemi

Riassunto – Fissiamo e argomentiamo il principio della precedenza del diritto, che è il seguente: il diritto positivo, cioè quello posto dall’ uomo, deve inserirsi sul diritto naturale, precedente l’ uomo, altrimenti lo falsifica, facendo della scienza del giusto e dell’ ingiusto, cioè della giurisprudenza, un fatto soggettivo. La soggettivizzazione del diritto, privando la giustizia di ciò che gli è proprio, ossia il carattere di uguaglianza e validità universale, spalanca le porte all’ arbitrio, l’ opposto del diritto, cui consegue la dittatura che sulla volontà del più forte (numericamente o economicamente) fissa leggi e norme valide per tutti, ancorché ingiuste. Studi aggiornati e documentati, segnalano che di questa nuova concezione del diritto e conseguente promulgazione dell’ arbitrio sono propagatori gli organismi sovra-nazionali dell’ OMS e dell’ ONU, specialmente presso i paesi più poveri.

Procediamo in ordine sparso.

Questa è la definizione della giustizia, secondo il corpus iuris civilis:

« Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuens »

Anzitutto bisogna dire che la giustizia è la costante e perpetua volontà di dare a ciascuno il giusto (ius) che gli appartiene (suum).

Abbiamo qui tre termini: la volontà, che deve essere costante e perpetua; ciò che è giusto (ius), che deve essere conferito nella misura in cui spetta a ciascuno; la persona, a cui la giustizia vuole fermamente e sempre dare ciò che gli spetta in quanto è suo. Vi è un quarto termine pertanto, che è la proprietà: ossia il fatto che ciascuno ha il diritto di vedersi attribuito ciò che gli è proprio.

Questa breve analisi della definizione di che cosa sia la giustizia, ci permette di affacciarci più direttamente sulle problematiche legate al nostro tempo.
Da quanto abbiamo visto infatti, possiamo evidenziare alcune problematiche:

– il diritto, se riferito alla giustizia, e non all’ arbitrio, non coincide con ciò che la volontà determina come norma valida per tutti, bensì, come visto, con ciò che si ha ferma e perpetua volontà di attribuire alla singola persona, in quanto già le appartiene, è suo. Io non ho diritto a vivere perchè nel 1948 è stato dichiarato che il mio diritto a vivere è inalienabile: io sono un uomo, e perciò ho diritto a vivere. E’ importante evidenziare questo: la giustizia non crea il diritto, ma lo riconosce e attribuisce. In altre parole, il diritto che spetta alla singola persona in quanto uomo, gli è attribuito anzitutto in virtù della sua stessa natura, non a seguito di un intervento positivo della giustizia, la quale non è altro che la determinazione ferma e costante che riconosce e attribuisce a ciascuno ciò che gli spetta, secondo giustizia appunto, e tanto più se ciò che gli spetta gli appartiene per natura.

– inoltre il diritto che spetta a ciascuno e che gli si deve attribuire per giustizia, riguarda l’ umanità sotto l’ aspetto universale in quanto riguarda il singolo individuo, ch’ è la persona concreta: non vi è altresì un diritto che riguardi la globalità degli individui a detrimento della persona singola. Un tale diritto, se fosse proclamato (come di fatto avviene) cesserebbe perciò stesso di essere tale, per assumere tutte le connotazioni del puro arbitrio, anzi dell’ arbitrio del diritto, che diritto non è.

– infine, ciò che garantisce la liceità del diritto, non è la sua imposizione e normalizzazione, il che sarebbe invece proprio dell’ arbitrio del diritto, bensì una volontà ferma e costante ad attribuire il giusto che a ciascuno spetta: e pertanto, ciò che è stabilito universalmente quale diritto, se è vero diritto, cioè se è conforme al giusto (ius), non può successivamente esser smentito, modificato o capziosamente sostituito con qualcos’ altro, senza che la giustizia venga meno. E’ proprio infatti della giustizia, come abbiamo visto, mantenere una determinazione ferma e perpetua nel tributare a ciascuno il giusto che gli appartiene, che è suo. Venendo meno il giusto, venendo meno il riferimento allo ius, che è la giusta porzione da attribuire, viene meno la giustizia stessa.

Riassumiamo.

Che cos’ è dunque il diritto?

Il diritto è ciò che è giusto, e bisogna darlo a tutti, ciascuno secondo ciò che gli spetta.

Ad esempio, quando si ordina secondo giustizia di “dare a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”, si riconosce al tempo stesso che vi è un diritto di Dio a ricevere ciò che è suo (evidentemente il rendimento di grazie, l’ onore che gli spetta quale creatore e un culto ragionevole in quanto è Logos, ragione creatrice), e un diritto dell’ autorità civile a ricevere ciò che gli spetta: tasse, imposte, rispetto etc.

A chi spetta il diritto? A tutti. Come bisogna riconoscerlo? A ciascuno secondo ciò che gli spetta.

Dunque il diritto è un bene universale, valido per tutti e presso tutti, la cui giustizia consiste nel dare ad ogni soggetto particolare ciò che gli spetta in quanto è suo.

Teniamo fermo anche questo intanto:

– Se vi sono dei diritti umani, questi sono propri di ogni uomo a partire dalla sua natura personale. Ora, siccome non è il diritto positivo a conferire all’ uomo la sua natura umana, ma la stessa natura costituisce ogni uomo, quanto all’ esser naturale, d’ esser persona, perciò noi diremo che l’ uomo ha diritto, ad esempio, a vivere e non essere ucciso per natura, non già perché intervenga un diritto positivo successivamente a garantirglielo, ma in quanto quella d’ esser persona è una proprietà di natura, e pertanto non gli può essere alienata senza commettere ingiustizia! L’ esplicitazione positiva di un tale diritto suppone e constata una realtà e proprietà naturale in atto, la quale nè è creata né può essere cancellata dal diritto: bensì, solo conosciuta e tutelata.

– Se per la sua stessa natura, l’ uomo ha dei diritti inalienabili, tali diritti riguardano ogni persona, e l’ umanità in generale in quanto ogni persona umana. In altre parole: non si può, in nome della tutela della maggioranza, alienare i diritti della singola persona. Ora, quanti ad esempio per mezzo dell’ ONU e dell’ OMS proclamano e propagano “il diritto alla salute delle donne”, traducendolo nel diritto di uccidere il proprio nascituro, compiono precisamente questo: una negazione del diritto naturale a venire alla luce e una trasformazione dello stesso in arbitrio, basata sul falso presupposto che, per assicurare la salute generale di un gruppo, è lecito alienare i diritti personali del singolo, in questo caso la persona concreta che sta per nascere. Con una tale perversione del diritto, di fatto, non soltanto si attenta alla salute pubblica che ci si procura di tutelare, in quanto si uccidono le persone prima che nascano, ma si vanifica anche la concezione stessa di diritto umano, in quanto la persona, sia essa un nascituro, sia un anziano, sia un sofferente, per natura inalienabile del suo diritto a vivere, per “salvaguardare la salute”, per “combattere la sofferenza”, per “il diritto a una vita sostenibile”, di fatto viene soppressa.

Ora facciamo un passo in più, riportando la definizione di “iuris prudentia”, ossia giurisprudenza, presente nel “corpus iuris civili”:

« Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia »

Abbiamo qui una definizione molto rilevante, su cui vale la pena di approfondire lo sguardo. Cominciamo dalla parola “iuris prudentia”, donde deriva la giurisprudenza, intesa come studio del corpo di nozioni che consente il discernimento fra le leggi di ciò che è lecito e ciò che non è lecito applicare ai casi concreti.

Anzitutto sulla prudenza: essa è la virtù morale che guida la ragione al giusto discernimento dei mezzi in vista di un fine buono.
Perché si parli di prudenza, pertanto, si richiede rettitudine dell’ intenzione (fine buono), capacità di discernimento (giusto/ingiusto), onestà di vita (virtù morale).

Che questa non sia un’ idealizzazione della prudenza, ma la sua sostanza, lo dimostra indirettamente il “corpus iuris civilis”, nel momento in cui descrive quali sono i precetti della legge:

« Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere , suum cuique tribuere »

Osserviamo che l’ onestà di vita (“honeste vivere”), l’ innocenza (“alterum non laedere”) e la giustizia (“sum cuique tribuere”) sono confermate essere i precetti da osservare, non osservando i quali non è neppure possibile parlare di “ius”, e dunque nemmeno di “iuris prudentia”, ossia della scienza che presiede alla nozione di ciò che è giusto e ingiusto.

Abbiamo ora una panoramica più completa per intendere la nozione di “giurisprudenza” consegnataci dalla sapiente tradizione giuridica romana, sopra la quale tutti i codici sono innestati:

« la prudenza della legge è notizia di cose divine ed umane, scienza del giusto e dell’ ingiusto »

Anzitutto la prima parte: la giurisprudenza è notizia di cose divine ed umane. Quest’ affermazione pone buona parte dell’ elaborazione del “diritto” odierno al di fuori della definizione. Infatti:

– allor quando il diritto è inteso come mera e positiva imposizione della volontà legislatrice che l’ impone, non si ha giurisprudenza, nè azione nel diritto, ma arbitrio.

– allor quando il diritto è inteso, fondamentalmente, come un fatto sopraggiunto alla natura, e non già come riconoscimento di ciò che spetta a ciascuno in quanto gli appartiene per natura, non si ha giurisprudenza, né si agisce nel diritto: infatti ciò che ci è stato dato per natura, ad esempio la vita personale, o l’ identità sessuale, non può essere sottratta o modificata per via di legge senza venir meno alla giustizia, la quale chiede volontà ferma e costante nel tributare a ciascuno ciò che è suo: in questo caso, la vita personale. Perciò un diritto che si presenti e costituisca autonomamente senza riconoscere e far precedere ai diritti positivi quelli che spettano per natura, non è conforme a giustizia.

– inoltre, allor quando il diritto s’ intenda come mera convenzione umana, al di là e al di fuori delle norme divine valide per tutti gli esseri spirituali, umani ed animali, la giurisprudenza cessa di essere tale, trasformandosi piuttosto in una scienza dell’ interpretazione della norma umana, al servizio della volontà e dell’ utilità del più forte, cessando di essere disciplina per la difesa, eventualmente, dei diritti del più debole di fronte ai soprusi del più forte. Difatti, venendo meno i caratteri dell’ uguaglianza e dell’ universalità dello ius, di ciò che è giusto tributare a ciascuno sempre e secondo qualunque circostanza, viene meno anche la possibilità da parte dei più deboli di essere tutelati nella difesa di ciò che è loro e gli spetta, la vita, il patrimonio, la salute, che i più forti, per convenienza o per forza, attentano.

Che la scena globale ci consegni un’ immagine del diritto fortemente vilipesa, del resto, si può comprendere alla luce di quanto fin qui detto e che l’ attualità ci permette di verificare con ampio margine di testimonianze significative.

Ad esempio: noi stiamo assistendo, sembra lentamente ed inesorabilmente anche a causa del silenzio di coloro che dovrebbero denunciarla, ad una sostituzione dei diritti dell’ uomo con imposizioni globali dettate dall’ arbitrio, invocate sì in assonanza col nome del primo, in qualità di “diritti”, ma operate e finalizzate in vista del secondo, il puro arbitrio, tramite il cammuffamento, l’ aggiornamento e la sostituzione dei termini; tramite lo spostamento dell’ antropologia di riferimento del diritto umano, quella naturale, verso una nuova concezione dell’ uomo fortemente controversa.

Ciò che è più grave è che tale perversione del diritto e spostamento dell’ asse antropologico di riferimento, è ideata ed operata, di legge e di fatto, proprio da quegli organismi sovra-nazionali che più di tutti dovrebbero porsi alla tutela dei diritti umani: vale a dire l’ ONU e l’ OMS. Al contrario, proprio dallo studio dei documenti pubblici di queste organizzazioni mondiali si evidenzia ed emerge il chiaro disegno di sostituire al diritto dei popoli e delle persone una nuova interpretazione dell’ uomo, che fa’ sfondo ad un’ imposizione arbitraria e globale che vuol penetrare le leggi, i diritti, le sovranità nazionali e trasformarli dall’ interno ponendoli sotto la propria egida; tale operazione, effettuata su scala globale, ed esercitata con particolare pressione nei confronti dei paesi più poveri, viene supportata da innumerevoli conferenze, aggiornamenti, tabelle di marcia e scadenze per la sua realizzazione, nonché legittimata attraverso finalità di bene, tutte in realtà da dimostrare.

Per un approfondimento verificato e documentato di ciò a cui alludo, prego il lettore di reperire gli studi di uno dei membri dell’ Accademia pontificia per le scienze sociali, mons. Michel Schooyans, il quale fornisce ampia argomentazione in tema nei suoi lavori, qui di seguito acquisibili gratuitamente:

http://michel-schooyans.org/it/books

Proseguiremo nel solco di queste linee prossimamente.

Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

Commenti

Notificami
avatar
3000
wpDiscuz