«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Contraddizioni del Corano il 1 agosto 2017

di Giovanni Traverso

Sura II: Al-Baqara

(La Giovenca) – di 286 versetti. Il nome della sura deriva dal vers. 67.

Ci confrontiamo con alcuni problematici versetti della sura II del testo coranico, esaminata sotto la categoria della “rivelazione divina”.


VAI AL TESTO INTERGRALE DELLA SURA II IN ITALIANO 


Versetti commentati: 23, 25, 87, 91, 92, 93, 94, 97, 127, 128, 129, 132

23. Se avete qualche dubbio in merito a quello che abbiamo fatto scendere sul Nostro Servo, portate allora una sura simile a questa e chiamate altri testimoni all’infuori di Allah, se siete veritieri.

25.   E (Allah) annuncia a coloro che credono e compiono il bene (…) avranno spose purissime e colà rimarranno in eterno.

87. Abbiamo dato il Libro a Mosè, e dopo di lui abbiamo inviato altri messaggeri. E abbiamo dato a Gesù, figlio di Maria, prove evidenti e lo abbiamo coadiuvato con lo Spirito di Santità. E quando si dice loro: «Credete in quello che Allah ha fatto scendere», rispondono: «Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi». E rinnegano il resto [il Corano], anche se è la Verità che conferma quello che già avevano ricevuto [la Legge].
91. Di’: «Chi è nemico di Gabriele, che con il permesso di Allah lo ha fatto scendere nel tuo cuore, a conferma di quello che era venuto in precedenza, come Guida e Buona novella per i credenti (…)
92 Gli ebrei dicono: «I nazareni si basano sul nulla»; e i nazareni dicono: «I giudei si basano sul nulla»; e gli uni e gli altri recitano il Libro. Anche quelli che non conoscono nulla parlano alla stessa maniera. Allah, nel Giorno della Resurrezione, giudicherà dei loro dissensi.

93. Dicono: «Allah si è preso un figlio»

94. E Abramo!… Quando il suo Signore lo provò con i Suoi ordini  ed egli li eseguì, [il Signore] disse: «Farò di te un imâm per gli uomini»

97. Di’: “Chi è nemico di Gabriele, che con il permesso di Allah lo ha fatto scendere nel tuo cuore, a conferma di quello che era venuto in precedenza, come Guida e Buona novella per i credenti;

127. E quando Abramo e Ismaele posero le fondamenta della Casa, dissero: «O Signor nostro, accettala da noi! Tu sei Colui che tutto ascolta e conosce!

128. O Signor nostro, fai di noi dei musulmani e della nostra discendenza una comunità musulmana. Mostraci i riti e accetta il nostro pentimento. In verità Tu sei il Perdonatore, il Misericordioso!

129. O Signor nostro, suscita tra loro un Messaggero che reciti i Tuoi versetti e insegni il Libro e la saggezza, e accresca la loro purezza. Tu sei il Saggio, il Possente».
Chi altri avrà dunque in odio la religione di Abramo, se non colui che coltiva la stoltezza nell’animo suo?
Quando il suo Signore gli disse: «Sottomettiti», disse: «Mi sottometto al Signore dei mondi».
Fu questo che Abramo inculcò ai suoi figli, e anche Giacobbe: «Figli miei, Allah ha scelto per voi la religione: non morite se non musulmani».

132. Fu questo che Abramo inculcò ai suoi figli, e anche Giacobbe: “Figli miei, Allah ha scelto per voi la religione: non morite se non musulmani”.


COMMENTO

Il versetto 23 della seconda sura è un invito ai cercatori della verità, nel caso in cui avessero dei dubbi circa l’ autenticità di queste scritture, il cui autore sarebbe Dio stesso, a portare versetti simili a quelli coranici che li contraddicano, o a proporre testimoni alternativi. Accogliamo l’ invito, passando al versetto 25.

Avviene infatti che, al versetto 25, nella promessa del Paradiso, si trovi una prima contraddizione del Corano rispetto a quelle scritture ebraico-cristiane nella cui linea pure la rivelazione coranica afferma di inserirsi, come verrà affermato successivamente e ripetutamente in più versetti (ad es. 87 e 97).

Per comprendere la contraddizione in oggetto, dobbiamo riferirci al versetto 87 della medesima sura II, sopra riportato, in cui la voce della rivelazione afferma di essere la stessa di quel Dio che ha rivelato la Legge a Mosè sul Sinai, di colui che ha riempito Gesù di spirito santo facendolo Profeta potente in parole e in opere fra gli uomini. Il verso 91, sulla stessa linea, assicura che il Corano è la confermazione dei testi sacri degli Ebrei.

Ora, il versetto 25, in cui viene promesso a coloro che moriranno in grazia di Dio – segnatamente agli esseri umani di sesso maschile – un Paradiso dove avranno spose purissime, contraddice il passo evangelico in cui Gesù rispondendo al gruppo dei Sadducei che lo interrogavano sulla vita e il matrimonio nell’ al di là, dice loro esplicitamente che: «Quando risusciteranno dai morti, [i risorti] non prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli».

E’ interessante notare come Gesù attribuisca la mancata conoscenza circa la domanda posta da parte del gruppo dei Sadducei, da un lato, alla loro incredulità verso la potenza di Dio, evidentemente capace di prescindere per la rinnovazione del mondo dagli elementi di sessualità insiti nella creazione sensibile; dall’ altra, all’ ignoranza dei Sadducei stessi in fatto di Scritture: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?» Come a dire: se neppure indagate le Scritture, che sono la parola di Dio, come pensate di conoscere la verità? In altre parole per Gesù, sia egli considerato come profeta o figlio di Dio, la concordanza e il riferimento alle Scritture del popolo ebraico, per l’ insegnamento circa la verità di Dio, assume un ruolo centrale e preponderante al fine di poter discernere la voce, l’ identità e l’ autentico insegnamento del Dio vivente. Se si vuole conoscere il reale attraverso la lente divina, lo sguardo e l’ ascolto devono orientarsi e inserirsi sulla parola profetica perché Dio la ispira; lo spirito di Dio, che spira nei profeti, li educa a trasmettere il suo insegnamento, così che chi insegna e accoglie la voce dei profeti, ascolta, accoglie ed insegna lo sguardo di Dio sulla realtà. Dunque, stando all’ argomentazione di Gesù, senza una tale aderenza agli insegnamenti dei Profeti mandati da Dio, e dunque senza un conseguente riferimento e sviluppo di quella tradizione e di quel magistero, le affermazioni di un profeta non sembrano avere autorevolezza alcuna; ché anzi, in assenza di queste, conducono a ingannarsi o a restare ignoranti, come nel caso dei Sadducei.

Ora, al di là di questi rilievi, e a prescindere della stessa testimonianza sull’ identità di Gesù che emergerebbe dai Vangeli, attenendoci al Corano dobbiamo ipotizzare che: o Gesù era un profeta di Dio, o non lo era; o diceva la verità professata per conto di Dio, o ne diceva una propria, che non veniva dunque da Dio. Ma se l’ autorità di Profeta veniva a Gesà da Dio, con spirito e potenza, come il Corano dichiara, come è possibile che vi siano affermazioni discordanti fra le dottrine espresse dal Corano, riferibili a Dio, e quelle espresse da Gesù nei Vangeli, quale suo Profeta? E non parliamo di dottrine marginali, o sfumature, ma questioni riguardanti, in questo caso, la vita eterna e il premio celeste per i fedeli. Delle due, l’ una: o il Vangelo riporta parole di Gesù che furono interpolate, e non rappresentano l’ originale insieme dei detti di Cristo, recepite invece autenticamente dal solo testo coranico, o il Corano riporta promesse divine che nessun profeta ha mai annunciato agli uomini, prima di Mohammed.

Ciò che non è ammissibile, è che Gesù profetasse per conto di Dio un falso annuncio, il che sarebbe dire che Dio non è veritiero, e i suoi Profeti annunciano per il mondo messaggi contraddittori.

§

Il versetto 97 afferma che il Corano è la buona notizia, ossia il “Vangelo” dei credenti, fatto scendere nel cuore di Mohammed con il permesso di Dio, e l’ intermediazione dell’ Angelo Gabriele, a conferma degli scritti sacri precedenti. E’ lecito dunque chiedersi: se i due Vangeli sono stati entrambi dati da Dio, come il Corano afferma, perché sono discordanti? E se sono discordanti, quale è quello autentico? Una considerazione logica: due affermazioni, per essere entrambe vere, non possono escludersi l’ una con l’ altra. Ora, se il Corano afferma che entrambi i Vangeli sono dati da Dio, e il secondo confermerebbe il precedente, come si spiegano le contraddizioni che sorgono nel compararli? Da un punto di vista logico, che il Vangelo cristiano sia l’ ultima rivelazione di Dio è possibile ammetterlo, in quanto – perlomeno – non contraddice in se stesso le parole delle voci profetiche precedenti ad esso, a cui costantemente si riferisce. Non così per il Corano, che da parte sua, importa novità teologiche che contraddicono nettamente gli scritti sacri sulla cui linea pure intende porsi, quale “rivelazione ultima” di Dio a Mohammed. Notiamo inoltre come il versetto affermi che è lo stesso Angelo Gabriele ad aver versato nel cuore di Mohammed le parole del Corano: sembra si tratta dunque di una modalità differente dall’ apparizione dell’ Angelo Gabriele a Maria, narrata dai Vangeli; qui invece, sembra più trattarsi di una sorta di locuzione interiore, o dettato.

§

Il versetto 113 sembra prendere a testimonianza le discordie teologiche fra Ebrei e Cristiani per mostrare la veridicità del contenuto coranico, e la supremazia di Allah. Questo versetto, alla luce delle testimonianze scritturali e dell’ evoluzione di atteggiamento da parte dei cristiani, nella storia della Chiesa, per molti versi controverso, ma in definitiva benevolo e trasparente verso gli ebrei, appare – allo stato attuale delle cose – ingiustificato.

§

Il versetto 116 testimonia lapidariamente il rifiuto del testo coranico del Vangelo, per quanto riguarda la rivelazione dell’ identità del Messia di Israele, Gesù il nazareno, quale figlio dell’ Altissimo, come testimoniata dagli uomini (Pietro): “Noi abbiamo creduto che tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” (…) e dagli Angeli (Gabriele): “…e sarà detto figlio dell’ Altissimo”.

La contraddizione fra i due testi in questo caso è tanto più evidente in quanto la rivelazione coranica, secondo il versetto 97, è una dettatura interiore dell’ Angelo Gabriele, fatta scendere nel cuore di Mohammed.

Lo stesso Angelo annuncia due verità diverse da parte di Dio. Come è possibile? Come si spiega che lo stesso Angelo riferisca due testimonianze contraddittorie?

Infatti, secondo san Luca, l’ Angelo Gabriele parla a Maria in termini inequivocabili: “Sarà detto figlio dell’ Altissimo”. Lo stesso invece, secondo il Corano, inviando Mohammed per conto di Dio (versetto 119: “Ti abbiamo inviato”), e versando in lui nel cuore le parole profetiche del libro, annuncia una realtà esattamente opposta, che smentisce la fede dei “nazareni”, ovvero dei credenti in Gesù Cristo, nella divinità del loro Signore, fattosi uomo.

Delle due l’ una: o l’ Angelo che ha parlato a Maria, le ha annunciato cose diverse, manipolate poi dalla tradizione che a lei si riferisce; o l’ Angelo che ha parlato a Maria, le ha annunciato parole veritiere, ma allora l’ Angelo che ha parlato a Mohammed non è la stessa persona che ha parlato a Maria. In tal caso, neppure sarebbe pensabile che si tratti di un altro angelo, in quanto – se pure è pensabile che Dio mandi angeli diversi ad annunciare verità diverse – mai egli potrebbe mandare angeli diversi ad annunciare verità fra loro escludentisi, perché Dio è veritiero, e non si contraddice.

§

Il verso 124 riporterebbe alcune parole di Dio dette ad Abramo, alterando però il significato rispetto alla Scrittura originale da cui il verso è preso. La parola divina citata rimanda al Libro di Genesi, capitolo 17, versetto 4, in cui è riportata e riconfermata la promessa di Dio fatta ad Abramo: “Ecco, la mia alleanza è con te, e tu sarai padre di una moltitudine di genti”. Nel verso coranico, il termine “padre”, viene sostituito con il termine “imam”, “colui che sta davanti”: ossia il capo della comunità religiosa secondo l’ ordinamento islamico. Interpolazioni di questo tipo, come vedremo, sono frequenti nel testo coranico, e certamente contribuiscono a dare una conferma, a posteriori, della bontà dell’ ordinamento islamico, per come è costituito in guide-capi religiosi. Il problema vero però è questo: come giustificare una tale interpolazione del testo sacro, senza escludere che essa possa trattarsi di un artificio del redattore del testo coranico, al fine di presentare, sulla base di estemporanei riferimenti alle Scritture ebraiche, la bontà dell’ ordinamento nuovo da lui proposto alla comunità? E più in generale, la domanda è sempre la stessa: se il Corano è la diretta voce di Dio, come ammettere che Dio possa – col tempo – alterare in modo sottile, ma sostanziale, la portata del suo discorso, adattando filologicamente gli interventi dei profeti antichi di modo che diano conferma delle nuove istanze apportate dagli ultimi?

La vocazione di Abramo, secondo il mutamento di prospettiva, cambia: dalla “paternità spirituale” sui popoli, che si desume dal testo ebraico, si perviene a quella positiva “di guida religiosa”, istituzionalmente garantita, che emerge dalla novità semantica introdotta in testo al Corano proprio sull’ aggiornamento e variazione del testo ebraico. Possibile che la stessa parola divina ammetta contemporaneamente due modelli di interpretazione diversificati riferibili alla stessa figura e persona? Se ciò non è logicamente ammissibile, delle due l’ una: o la Bibbia ebraica non riporta l’ originale promessa di Dio ad Abramo, o il Corano non è parola di Dio, ma un’ interpolazione umana del testo ebraico, con la funzione di instaurare un nuovo dominio di ordine politico, che trae il suo edificio da interpolazioni di un testo di genere “sacro”.

§

I versetti 127,128 e 129 forniscono un nuovo esempio del genere d’ interpolazione, questo volta di tipo aggiuntivo. Al verso 124 avevamo visto come l’ interpolazione del Libro di Genesi sia interna alla citazione, con la sostituzione di una parola, “padre”, con un’ altra, “imam”. Abbiamo anche indicato come una tale modifica potesse orientare il senso del testo in un senso pratico molto ben definito: legittimare, sulla base dell’ interpolazione di un testo sacro, l’ istituzione di una nuova configurazione sociale e politica che tragga dall’ elemento religioso la propria autorevolezza.

In questi versetti il procedimento è analogo, ma assai più esplicito: qui non si tratta di una lieve, per quanto decisiva, modifica del testo originale ebraico, ma di una serie di discorsi aggiunti che non trovano alcuna corrispondenza nelle Scritture. Ad Abramo ed Ismaele viene messa in bocca una professione di fede musulmana ante-litteram, che pone di per sé la seria questione: come potevano Abramo ed Ismaele esprimersi secondo la fede dell’ Islam, se questa non era ancora stata rivelata dal suo profeta? Anche i teologi cristiani, per la verità, scovacciarono nella lettera degli antichi Profeti di Israele profezie dell’ incarnazione, passione e morte del figlio di Dio: ma una tale conoscenza fu attribuita sempre entro alla voce profetica come “ombra” della realtà che doveva venire, ed ancorché non priva di dettagli specifici che permettessero di ricostruire a posteriori l’ identità pre-annunciata del Cristo, si mantenne tuttavia oscura per lo stesso popolo ebraico e per i Profeti stessi; essa sarà comprensibile, secondo i teologi cristiani, solo alla luce dell’ incarnazione di Cristo e della meditazione teologica susseguente, la quale leggerà i Profeti alla luce del compimento delle Parole da essi rivelate e del Vangelo.

Qui, invece, nel Corano avviene qualcosa di sconvolgente e diverso: il testo coranico attribuisce ad Abramo ed Ismaele una professione di fede nell’ Islam molto esplicita, cui segue una preghiera altrettanto problematica circa la richiesta di invio di un Messaggero che in futuro confermi l’ autenticità della fede musulmana professata dai progenitori, e istituisca i riti consoni ad essa. Come non pensare, senza voler per questo dubitare in assoluto della bontà di intenzione di Mohammed, di trovarci davanti ad una ricostruzione ad hoc del testo sacro, finalizzata all’ instaurazione di un nuovo ordine politico e sociale, che si auto-legittima sulla base di interpolazioni e aggiunte al testo sacro ebraico, messe in bocca dal suo “profeta” direttamente in bocca agli antichi profeti di Dio? Nell’ intendimento di ricercare la verità, ancora più che Dio, una tale manipolazione solleva seri limiti di credibilità al testo sacro all’ Islam, e a nostro avviso, valutata con onestà intellettuale, solleverebbe intimi dubbi perfino al più dei fedeli dei devoti musulmani.

§

Il versetto 130, seguendo le interpolazioni e aggiunte fatte ai versetti precedentemente esposti, afferma e ribadisce che la religione di Abramo fosse l’ Islam, e per fortificare l’ argomento, con il versetto 131, riprendendo a variando Genesi, 18, 1-5, evoca un presunto ordine di “sottomissione” imposto da Dio ad Abramo nella celebre visita alla sua tenda  atto che costituirebbe l’ archetipo ideale della sottomissione del credente di Allah.

L´episodio da cui il testo coranico prende spunto si trova effettivamente nel Libro di Genesi al capitolo 18, versetti 1 e seguenti. Tuttavia lì, nel testo originale ebraico (e pre-cristiano), non di “sottomissione” ordinata si parla, ma a seguire il testo con precisione, di adorazione spontanea di Abramo a Dio, rivelatosi al profeta in figura di “tre uomini”. La tradizione cristiana avrà buon gioco a tratteggiare in questa pluralità di persone un’ allusiva conferma della natura personale e trinitaria di Dio. Come che sia, fermandoci al testo ebraico, e prescindendo dalle interpretazioni offerte dalla pietà cristiana, appare chiara, ancora una volta, la dissomiglianza che si ricava dal confronto delle scene. Nella scena coranica, Allah ordina la “sottomissione” ad Abramo: e nella prostrazione indotta del profeta, l’ Islam riconosce la cifra del proprio conformarsi all’ ordine religioso: come Abramo obbedì alla voce di Dio, così anche il credente in Dio deve fare, a sua imitazione, sottomettendosi. Nella scena ebraica, al contrario, il moto di prostrazione, che ha i tratti pittoreschi di un’ umanità che sembra “non credere ai propri occhi”, assume i toni pacati di una buffa quanto spontanea riverenza di fronte al rivelarsi della presenza di Dio, il quale non sembra aver bisogno di impartire ordini specifici, per dettare il giusto atteggiamento di naturale e spontanea riverenza che tocca interiormente l’ umano che si trovi a contatto diretto con il divino. A tal riguardo, la tradizione cristiana, parlerà di Abramo come “amico di Dio”, sottolineando con tale linguaggio quella prossimità, vicinanza nell’ alterità, intimità benevola che non si trova, altresì, chiaramente espressa nel testo coranico, il quale invece pone l’ accento sulla verticalità del rapporto fra uomo e Dio, comandando la sottomissione umana, e configurando la relazione con l’ uomo più sull’ autorità che sulla prossimità.

§

Il versetto 132, date queste premesse, sancisce ulteriormente l’ indirizzo anacronisitco del discorso, mettendo in bocca ad Abramo e Giacobbe un insegnamento inequivocabile per il buon padre musulmano dedito all’ educazione spirituale dei figli, secondo cui: “non è neanche concepibile morire, se non musulmani”. Al di là dell’ attribuzione illogica perché anacronistica (come potevano Abramo e Giacobbe parlare da musulmani se Mohammed non aveva ancora rivelato il Corano?), emerge da questo versetto un tratto fondamentale della mentalità patriarcale di tipo musulmano e dell’ insegnamento familiare che d’ essa deriva: il padre musulmano, prima di ogni altra cura, si adopera affinché la trasmissione dell’ Islam passi immutata di generazione in generazione. Questo precedente teologico produce internamente all’ Islam una forte coscienza identitaria, che nel contatto con culture e mentalità giuridiche, religiose, diverse dalla propria fa’ da argine alla possibilità stessa per essa di porsi serenamente entro processi d’ integrazione. D’ altra parte, anche all’ interno della stessa società islamica, un tale coinvolgimento da parte del capo-famiglia verso la tutela dell’ Islam, gli fa anteporre talvolta perfino il dovere di custodire la vita e gli affetti dei familiari in difesa della propria fede e della moralità ad essa susseguenti: non di rado accade che, dovendosi scegliere fra l’ una e l’ altra, tributando alla trasmissione della fede il valore supremo, le si sacrifichi la vita stessa dei familiari in violazione dei precetti. Avviene in quei casi che il membro “apostata” o “blasfemo” in seno alla famiglia, per queste o per altre ragioni contraddicenti l’ Islam, venga ucciso da chi lo ha allevato, come casi di cronaca familiare possono testimoniare.

Anche la tradizione cristiana, peraltro, testimonia una strenua opposizione e radicalizzazione di posizioni all’ interno di una stessa famiglia a causa della fede, e in ciò si accorda con la profezia evangelica di Cristo sulla necessità di tale divisione (Lc, 12-49-53): con la differenza, non da poco, che ad essere vittime della violenza domestica, spinta non di rado all’ omicidio, non sono coloro che apostatizzano o esecrano la fede cristiana, ma quanti la professano fino al martirio.

 

Caro lettore, Dio ti benedica! Se hai qualcosa di pertinente da aggiungere, osservazioni critiche da muovere, o semplicemente desideri complimentarti con l' autore dello scritto, qui puoi farlo, purché con spirito costruttivo e carità fraterna. Grazie!

Commenti

Notificami
avatar
3000
wpDiscuz