«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Appunti sulla logica divina il 6 ottobre 2021

di Giovanni Traverso

Essere creature significa riconoscere a Dio il primato del proprio esistere come Sue opere coscienti (II)

La perfezione dell’arte non tocca soltanto il rapporto fra noi e le nostre opere, ma anche e specialmente quello fra noi, opere dell’arte di Dio, e il nostro artista creatore. In definitiva, la perfezione dell’arte consiste nella santità, ossia in quella peculiare disponibilità a lasciarsi scolpire dallo Spirito Santo, che opera la nostra trasformazione in special modo tramite la nostra partecipazione coscienziosa e fervente alla Santa Messa.
Questi scritti sull’arte sono parte di un’opera più ampia, titolata alle ricerche e agli appunti sulla logica divina.

Bisogna adesso ragionare, per cogliere che cosa ci differenzi sostanzialmente da una qualunque opera d’arte prodotta dall’ingegno umano. Cosa distingue ad esempio una tela di un pittore, creazione umana, dal nostro essere una creazione divina? La coscienza d’esser creature.
L’atto creativo umano infatti non è capace di conferire una coscienza ai prodotti della sua creatività. Per coscienza – o libertà – s’intende il nostro essere persone pensanti, che sanno di esistere e possono orientarsi secondo un certo modo di essere, oppure un altro. Quando uno scrittore umano caratterizza i suoi personaggi all’interno del suo racconto o romanzo, per quanto deliziosa possa esser la sua arte di risaltare fin nelle minime pieghe le loro più sottili sfumature psicologiche, al punto da conferire verosimiglianza con la realtà a un’opera prodotta dal suo spirito, egli incatenerà pur sempre i suoi personaggi al suo modo di plasmarli e pensar per loro, non potendo le sue finzioni animarsi di vita propria: i suoi personaggi, infatti, non hanno vita propria, ma in tutto e per tutto dipendono dalla potenza immaginativa del loro autore, l’artista romanziere, per tutto ciò che fanno, per come si comportano, per come vivono e per come muoiono attraverso le pagine del romanzo. Costoro sono personaggi, non persone. Non così Dio con noi, perché egli non ci ha fatti quali Suoi personaggi, bensì quali persone libere, a Sua immagine.
Alla nostra totale dipendenza da Lui (cf. Kairòs, il tempo propizio), il Creatore nella potenza del quale esistiamo, Dio ha affiancato il dono e la responsabilità della libertà, affinché, come Lui è libero di scegliere il bene e detestare il male, anche noi ci determinassimo sulla base delle nostra scelte per mezzo della volontà. Certo, Dio non ci ha dato libertà di scegliere fino al punto di poter trasformare la realtà di natura conferitaci. Il radicamento nella libertà a noi donata comporta la presa di coscienza dei nostri limiti con l’accettazione della natura peculiare che abbiamo ricevuto in sorte. Se siamo uomini, non possiamo mutare la nostra essenza naturale, fino a diventare rane, gatti, scimmie; se siamo fatti maschi, non abbiamo il potere di modificare la nostra costituzione biologica fino a diventare femmine, o viceversa. La libertà che il Creatore ci ha conferito non è assoluta, ma condizionata al dono che ci precede, costituisce e orienta nel rapporto con noi stessi, con le altre creature e con il comune Creatore. Aver ricevuto una determinata natura, infatti, non comporta perdere la propria libertà; bensì, esercitarla a partire dalla consapevolezza di esser donati a noi stessi, per esser a nostra volta un dono per altri. Non come figure statiche, personaggi predefiniti della sua storia, ma come persone libere, che possono collaborare (o, disgraziatamente, non collaborare) con il proprio artista creatore. Ma mentre le nostre opere d’arte non possono conoscerci, Dio ci ha creati liberi proprio perché dirigessimo a Lui, nostro ideatore, l’intelligenza che abbiamo ricevuto, affinché conoscendolo pure lo amassimo, al fine di partecipare all’eterna gloria che il Suo Figlio unigenito ci ha promesso. E come Lo conosceremo, se non pensando a Lui? E come Lo penseremo, se non meditando sulle parole e opere del Figlio che egli, Padre, ci ha manifestato, facendo Lui assumere il volto e i tratti della nostra carne mortale, rendendocelo tanto prossimo? Dio ci ha dato il potere di riflettere sulle realtà prime ed ultime nello specchio dell’intelletto che ci ha donato, e mediante la volontà ci ha donato il potere di desiderare di conformarci al Suo figlio unigenito. Ora, questo dono che abbiamo ricevuto, e ci distingue sostanzialmente da ogni altra creatura animale, aprendoci alla possibilità di pensare, conoscere ed amare Dio, ci apre alla comunione con il suo modo di essere; ma dobbiamo educarci a comprendere che Dio compie in noi il suo capolavoro d’arte solo con il nostro consenso, per quanto liberi di darci a Lui oppure, disgraziatamente, di negarci all’opera del nostro perfezionamento, sottraendoci all’azione dello Spirito Santo. Egli, che vuole condurci al nostro perfezionamento, non può farlo senza di noi. (Come se uno scrittore di romanzi, nel tratteggiare la bontà e bellezza di un personaggio, non potesse farlo senza il suo libero coinvolgimento). Egli ha bisogno del nostro “Sì!”. Ecco la grandezza della Vergine Maria, colei che ha sempre rinnovato in parole ed opere il proprio allo Spirito creatore.
Ritorniamo ora a considerare in che cosa consistano le nostre operazioni creative, che sono pur sempre una imitazione del modus operandi del nostro creatore, e in cosa si differenzino dalle Sue. Certo noi possiamo generare creature a noi simili mediante la fecondazione del seme: e tuttavia ciò che generiamo sfugge propriamente alla nostra mano, in quanto non sappiamo come una persona venga alla luce e da dove. Generiamo, sì, figli a nostra immagine, ma essi non sono nostre libere creazioni, né noi siamo stati propriamente creati dai nostri genitori naturali, bensì generati da loro. Il principio della loro e nostra vitalità ci sfugge e resta nascosto. Essi, i nostri figli, non sono neppure prodotti diretti del nostro spirito, né noi lo siamo del loro. “Voi non sapete da dove vengo e dove vado” dice Cristo agli increduli farisei; ed è vero. Neppure noi sappiamo da dove veniamo e dove andiamo, se non ce lo rivela lo Spirito santo di Dio. Soltanto per la virtù soprannaturale della fede la nostra ragione umana resta illuminata circa la nostra reale provenienza: noi non siamo di quaggiù, perché il nostro creatore è divino. I nostri genitori ci hanno generato nella carne, ma è lo Spirito eterno che ha donato noi tutti una spirito cosciente unendolo a quella carne che per per generazione cromosomica appare simile a quella dei nostri genitori carnali, eppur è altra dalla loro. La creazione della nostra anima spirituale, in altre parole, appartiene a Dio solo; noi siamo suoi e siamo liberi di riconoscerci suoi.
Al contrario, il pittore ispirato modella l’olio su di una tela, ma per quanto l’opera risulti meravigliosa e sublime, essa resta inerte, non è libera: in essa è lo spirito dell’artista, ma essa non gode a sua volta di un proprio spirito personale sì da poter dire: “Ti riconosco, mio creatore!”. Essa, come detto, non ha vita propria, se non per colui che la plasma e per coloro che una volta terminata la osservano, facendola rivivere. Se sulla terra vi restassero infinite opere d’arte sublimi, poemi, tele, sculture, opere architettoniche, ma l’umanità scomparisse dalla faccia della terra, l’arte perderebbe la sua funzione e la sua ragione d’essere. Senza l’umanità le opere d’arte non avrebbero senso d’esistere. Dunque, per esistere, l’arte umana ha bisogno dell’uomo suo creatore. Similmente, per esistere e darsi senso, l’opera d’arte che ciascuno di noi è, in quanto opera di Dio, abbisogna di Lui, comune creatore, per la propria perfezione. Dunque l’arte è per l’uomo, non già l’ uomo per l’arte. Come l’uomo e la donna, fatti da Dio a regola d’arte, sono per Lui. Infatti, come sembra da questi discorsi, se il fine dell’arte umana è l’umanità stessa, che si ritempra e celebra mediante essa, tanto più è ragionevole ammettere che fine proprio dell’umanità –qual capolavoro dell’arte divina– è Dio stesso, ossia la Sua glorificazione. Proprio nella Santa Messa, Dio, sommo artista, nostro creatore e redentore, celebra perfettamente se stesso attraverso di noi, Sue opere d’arte, che egli intensamente ama in quanto, fra le Sue opere, le più simili a lui (insieme agli Angeli). Aderire con spirito di figli alla Santa Messa celeste, significa così partecipare alla più perfetta delle operazioni divine, alla celebrazione stessa che Dio fa di sé. Aderendo al proprio perfezionamento in vista della beatitudine eterna, nella divina liturgia ci è dato contemplare la perfezione dell’arte, che acquista il suo più autentico significato con l’unione fra lo spirito dell’uomo e lo spirito di Dio per mezzo della degna consumazione del corpo e del sangue di Gesù Cristo, ovvero mediante il Mistero della SS.Eucaristia.

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