«Senza di me, non potete fare nulla»

Gv 15,5

Laboratorio politico cattolico

Pubblicato in Ecologia umana il 12 aprile 2018

di Francesca Tonnarelli

Sull’interruzione di gravidanza volontaria

Le ragioni contro l’interruzione di gravidanza volontaria si basano su una serena ed attenta osservazione di una fra le leggi fondamentali naturalmente poste a regola e tutela della trasmissione della vita: ogni creatura desidera proseguire la sua specie, non sopprimerla; onde, agli albori della creazione, il creatore ha benedetto le generazioni umane ed animali, infondendo loro l’attrazione del “simile verso il simile”, affinché fossimo fecondi e popolassimo il creato, a gloria di Dio. L’autrice, sulla base della divina parola e della recezione che ne ha fatto il magistero della chiesa, riflette dunque sullo stato della legge attuale circa la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza, sottolineando come una tale legge si ponga al di fuori di ogni giustizia, quella di natura, valida per tutti i viventi, e quella della Scrittura, valida specificatamente per l’uomo. Firmate entrambe dallo stesso legislatore, Dio, queste non possono essere arbitrariamente stracciate per volontà o consesso di uomini, senza subirne le conseguenze.

Abbiamo ribadito in un precedente articolo qual è l’intento di questo servizio, ossia affiancare alla nostra volontà politica un obiettivo pedagogico, entrambi chiaramente ispirati alla Parola di Dio e rivolti alla rinascenza dei nostri costumi civili. È necessario, dunque, che noi cristiani annunciamo il Vangelo ad un mondo refrattario a Gesù Cristo e, vieppiù, alla Chiesa; in vero tale gravoso onere viene a noi tutti eminentemente ricordato nel discorso d’apertura al Concilio Vaticano II, la bolla pontificia Humanae salutis, che ribadisce con cristiana semplicità l’imperativo di Gesù ai suoi discepoli:

«Va’ e annuncia il Regno di Dio» (Lc 9, 57- 62)

In tale prospettiva questo intervento prenderà in considerazione il tema dell’aborto, definito dalla costituzione conciliare Gaudium et spes come «vergognoso e abominevole delitto», lesivo dell’onore del Creatore. Vogliamo, dunque, esaminare il motivo per cui tale pratica non è conforme alla Legge di Dio, definendo innanzitutto come aborto l’interruzione volontaria della gravidanza; il problema non si pone infatti laddove l’utero materno non sia naturalmente capace di sviluppare il feto e, quindi, abortisca spontaneamente.

Se l’orientamento della scienza genetica ampiamente riconosce l’inizio della vita coincidere col momento della fecondazione, la Legge di Dio -in quanto trascendente- addirittura precede tale opinione, poiché il Signore conosce noi tutti, anime da Lui stesso plasmate, ancora prima che i nostri corpi si siano formati nel grembo materno (Ger 1,5) (Salmo 139, 15-17). Dietro ogni persona concreta, nascitura o già nata, vi sta un concepimento della mente divina, che, in quanto eterna, è anch’esso eterno. Ogni creatura, e segnatamente ogni essere umano, plastica immagine del Dio vivente, è ideata nell’eternità del Signore: onde scaturisce la sua -e nostra- trascendente dignità (cfr. San Tommaso d’Aquino, Sommario di argomenti, questione “Le idee”, I libro, parte I). Dunque se l’ovulo fecondato è esistenza già pensata nel Logos di Dio, e sappiamo che il quinto comandamento afferma il diritto alla vita -poiché il Signore detta a noi tutti il divieto di uccidere (Es 20,13)- ne consegue logicamente che l’aborto è violazione della Legge divina e della vita stessa, resa sacra e indisponibile alle nostre volizioni di interromperla in quanto opera di Dio. Per quanto concerne il diritto naturale, ogni essere vivente è mosso naturalmente da spirito di sopravvivenza e di continuazione della specie, ed essendo Dio stesso il legislatore della natura, osserviamo che fra gli animali esistono esclusivamente forme spontanee di aborto: onde ne consegue che ogni pratica abortiva volontaria viola la natura stessa e la sua legge naturale. Consideriamo dunque delittuoso non solo l’aborto del feto, ma anche l’eliminazione dell’ovulo fecondato, se perseguito con raziocinio; infedele al suo Logos, la ragione umana si acceca, e guastando il suo giudizio, si dispone a scelte (e politiche) mortifere, anteponendo l’efficienza economica all’amore del prossimo. La vita, d’altronde è un processo senza soluzione di continuità dalla fecondazione fino alla morte e, secondo l’orientamento di un sano realismo filosofico (Aristotele), si deve riconoscere che l’embrione non è un uomo in potenza -poiché, secondo natura, già è tale-, quanto, più correttamente, un adulto in potenza, così come un giovane è in potenza un vecchio [cf. Eusebi, R. it. d. proc. pen., cit., 1077; Viafora, Med. mor. 89, 532 e Documento del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Identità e statuto dell’embrione umano, Med. mor., 89, 668]: sia che si lasci vivere il primo o il secondo, infatti, entrambi diventeranno uomini adulti, compiendo il ciclo della vita terrena. A questo punto, considerare la “non umanità” dell’ embrione significherebbe basare le proprie ragioni sulla possibilità di individuare un momento di personalizzazione -ossia di individualizzazione dell’essere umano- successivo rispetto all’inizio del processo vitale: con la conseguenza che, prima di tale momento, esisterebbe un “grumo di cellule”, ma non una specifica persona umana, pertanto aggredibile a nostro piacimento. Se così fosse*, certamente in tale prospettiva (non logica, e pertanto inamissibile)  si potrebbe ipotizzare l’aborto [ancora, sul punto, cf. Eusebi, Tutela giuridica dell’embrione, cit., 335 s.; Id., D. fam. 90, 863 ss.]: ma così non è, perché un embrione umano è un membro della specie umana, e non altro. E allora, declassando il valore della vita embrionale, considerando suscettibile di tutela piena solo il bambino già nato, favorendo la volontà infanticida della madre si giunge così alla deriva a cui oggi si assiste, ossia una piena arbitrarietà della donna nella scelta di abortire anche in casi non terapeutici, ma di comodo (come prevede la legge 22 maggio 1978, n.194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione della gravidanza, la cui costituzionalità risulta ancora dubbia**). A ciò si aggiunge la libera vendita di anticoncezionali -dispensati senza ricetta medica e favoriti nella circolazione da consultori, che sempre più sono modellati su politiche che prediligono la comodità e la repressione della responsabilità genitoriale***- che impediscono all’ovulazione di proseguire. E così assistiamo, quotidianamente, alla negazione della vita sostenuta da leggi e politiche che sviliscono, fino alla morte, la responsabilità sessuale dell’individuo in favore della concupiscenza carnale e discredito dei valori fondamentali della nostra costituzione, fra cui sono quelli a tutela della vita.
Noi cristiani, come del resto ogni cittadino di questo mondo, non dobbiamo rimanere inermi di fronte all’imposizione di falsi diritti che, adornati come giuste pretese in virtù di visioni positiviste, riduttive dell’essere umano (v. messaggio per la giornata mondiale della pace, Papa Benedetto XVI, 2012), attentano di fatto e violano il diritto fondamentale di ogni persona a nascere e vivere, ponendosi ciò contro la nostra Costituzione e, ancor prima, contro la nostra costituzione naturale di creature fatte da Dio per la vita, e non per la morte.

NOTE

* E ciò accade quando le scienze non si limitano a studiare i fenomeni, ma pretendeno di dominarli, ponendosi non a servizio della legge della vita, ma come legislatrici.

** L’illegittimità di tale legge è stata sollevata innumerevoli volte per la mancata tutela del concepito (la cui concezione è controversa, dal momento che parte della dottrina considera l’inizio della vita- quindi di un valore costituzionalmente tutelato- nel momento della fecondazione, come d’altronde viene ritenuto largamente dalla scienza, e perciò intende l’embrione come il concepito, dunque giuridicamente da tutelare; l’opinione contraria, invece, si ravvisa nella giurisprudenza che colloca l’inizio della vita in un momento successivo all’esistenza embrionale, inteso come vita in potenza, quindi spostando il concetto di concepito in uno stato più avanzato della gravidanza e facendo venire meno la tutela dell’embrione). La legge 194/1978, che sostituisce la disciplina dell’aborto -delitto contro l’integrità e la sanità della stirpe, come previsto dal codice penale del 1930- rendendo lecita l’interruzione della gravidanza per consapevole scelta della gestante, permette tale interruzione solo per giusta causa, che risulta però piuttosto nebulosa nella sua individuazione; infatti è vero che la suddetta legge prevede una progressiva tutela penale nei confronti della vita intrauterina, ma lascia anche alla donna una ampia discrezionalità nella sua scelta, dal momento che la giusta causa viene ravvisata nel pericolo di vita della madre, pericolo considerato talvolta come la maternità stessa, e non prevede l’obbligatorietà di un accertamento medico di tale pericolo per la salute della madre anche nei primi novanta giorni di gravidanza. Quindi l’incostituzionalità sta nella palese disparità di trattamento del concepito rispetto alla tutela riservata già ai nati e nel netto favore della volontà della madre a discapito del concepito.

*** lemma inteso nello stretto significato latino.

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